Diritto di accesso e segreto professionale in materia bancaria: la sentenza della Corte di Giustizia UE
Con la sentenza del 13 settembre 2018, la quinta sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata sulla facoltà, da parte dell’ente di vigilanza prudenziale sugli enti creditizi, di opporre il segreto d’ufficio a diniego di una istanza di accesso avanzata da un correntista.
Il rinvio pregiudiziale è stato proposto, con ordinanza del 29/09/2016, da parte del Consiglio di Stato Italiano e verteva sull’interpretazione dell’art. 53 par. 1 della direttiva 2013/36/UE: “sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento”.
La domanda di pronuncia pregiudiziale traeva origine da una controversia tra un privato e la Banca d’Italia.
L’ente aveva parzialmente negato la richiesta di accesso ad alcuni documenti relativi all’attività di vigilanza svolta nei confronti di un ente creditizio, sottoposto ad una procedura di liquidazione coatta amministrativa, presso cui il richiedente risultava intestatario di un conto corrente.
Se, da una parte, la richiesta di accesso era motivata sulla base di una supposta responsabilità sia della BDI che dell’ente soggetto a controllo per le perdite finanziare subite, dall’altra il suo seguente rigetto veniva giustificato dall’esistenza di un segreto professionale sulle informazioni richieste che quindi erano segrete e non rivelabili.
L’art. 53 par. 1 della direttiva summenzionata , volta a tutelare non solo gli specifici interessi degli enti creditizi direttamente coinvolti ma anche l’interesse generale collegato alla stabilità del sistema finanziario all’interno dell’Unione, statuisce che “nei casi concernenti un ente creditizio dichiarato fallito o soggetto a liquidazione coatta ordinata da un tribunale, le informazioni riservate che non riguardi i terzi coinvolti in tentativi di salvataggio possono essere comunicate nell’ambito di procedimenti civili o commerciali”.
Sulla base del tenore letterale di tale disposizione, sottolinea il Giudice Europeo, non è possibile dedurre però il principio per cui le informazioni riservate possano essere divulgate unicamente nei due casi sopra citati.
Difatti, nelle ipotesi come quella di specie, l’esercizio del diritto di accesso è preordinato all’avvio di un procedimento civile o commerciale e la divulgazione delle informazioni è idonea per sé a garantire il fine del segreto d’ufficio predisposto dalla direttiva: ovverossia che le informazioni siano rese accessibili solo a quelle persone direttamente interessate dal fallimento o dalla liquidazione coatta amministrativa, sotto il controllo di un giudice competente.
Perché sia meritevole di accoglimento, tuttavia, la domanda di divulgazione deve essere pertinente nonché circostanziata sulla base di indizi precisi e concordanti, tali da lasciar plausibilmente supporre che le notizie stesse siano rilevanti ai fini dell’avvio di un procedimento il cui oggetto deve essere concretamente individuato dal richiedente, ed al di fuori del quale le informazioni di cui trattasi non possono essere utilizzate.
Tale valutazione, concludono i Giudici di Lussemburgo, è rimessa alle autorità amministrativa ed ai giudici competenti, i quali sono quindi tenuti ad effettuare un bilanciamento tra l’interesse del richiedente e quelli legati al mantenimento della riservatezza delle informazioni coperte dall’obbligo del segreto professionale.
Dott.ssa Caterina Marino
Diritto di accesso e segreto professionale in materia bancaria: la sentenza della Corte di Giustizia UE
Con la sentenza del 13 settembre 2018, la quinta sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata sulla facoltà, da parte dell’ente di vigilanza prudenziale sugli enti creditizi, di opporre il segreto d’ufficio a diniego di una istanza di accesso avanzata da un correntista.
Il rinvio pregiudiziale è stato proposto, con ordinanza del 29/09/2016, da parte del Consiglio di Stato Italiano e verteva sull’interpretazione dell’art. 53 par. 1 della direttiva 2013/36/UE: “sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento”.
La domanda di pronuncia pregiudiziale traeva origine da una controversia tra un privato e la Banca d’Italia.
L’ente aveva parzialmente negato la richiesta di accesso ad alcuni documenti relativi all’attività di vigilanza svolta nei confronti di un ente creditizio, sottoposto ad una procedura di liquidazione coatta amministrativa, presso cui il richiedente risultava intestatario di un conto corrente.
Se, da una parte, la richiesta di accesso era motivata sulla base di una supposta responsabilità sia della BDI che dell’ente soggetto a controllo per le perdite finanziare subite, dall’altra il suo seguente rigetto veniva giustificato dall’esistenza di un segreto professionale sulle informazioni richieste che quindi erano segrete e non rivelabili.
L’art. 53 par. 1 della direttiva summenzionata , volta a tutelare non solo gli specifici interessi degli enti creditizi direttamente coinvolti ma anche l’interesse generale collegato alla stabilità del sistema finanziario all’interno dell’Unione, statuisce che “nei casi concernenti un ente creditizio dichiarato fallito o soggetto a liquidazione coatta ordinata da un tribunale, le informazioni riservate che non riguardi i terzi coinvolti in tentativi di salvataggio possono essere comunicate nell’ambito di procedimenti civili o commerciali”.
Sulla base del tenore letterale di tale disposizione, sottolinea il Giudice Europeo, non è possibile dedurre però il principio per cui le informazioni riservate possano essere divulgate unicamente nei due casi sopra citati.
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Perché sia meritevole di accoglimento, tuttavia, la domanda di divulgazione deve essere pertinente nonché circostanziata sulla base di indizi precisi e concordanti, tali da lasciar plausibilmente supporre che le notizie stesse siano rilevanti ai fini dell’avvio di un procedimento il cui oggetto deve essere concretamente individuato dal richiedente, ed al di fuori del quale le informazioni di cui trattasi non possono essere utilizzate.
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