Il focus: l’inversione formale delle parti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo
Con riferimento al procedimento di ingiunzione disciplinato ai sensi dell’art. 633 c.p.c. e ss., colui che è creditore di una somma liquida di denaro ovvero di una determinata quantità di cose fungibili, così come chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata, può richiedere al giudice competente la pronuncia di una ingiunzione di pagamento o consegna per recuperare quanto gli spetta.
Tramite il deposito di un ricorso per decreto ingiuntivo, si introduce, pertanto, un procedimento monitorio volto ad ottenere un provvedimento inaudita altera parte. Qualora tale ricorso non sia affetto da vizi, entro trenta giorni dal deposito del medesimo il giudice dovrà emettere un decreto con cui ingiunge al debitore di soddisfare la pretesa creditoria avanzata, avvertendolo che, quest’ultimo, potrà proporre opposizione entro quaranta giorni dalla notifica del provvedimento.
La possibilità che il debitore ingiunto contesti quanto contenuto nella pretesa attorea, quindi, non è di per sé esclusa ma, semplicemente, postergata rispetto al provvedimento del giudice, fermo restando che, in caso di mancata opposizione nei termini previsti, il decreto ingiuntivo acquisirà efficacia esecutiva (come anche nelle ipotesi previste ex art. 642 c.p.c.).
A tal proposito, il giudizio di opposizione presenta delle innegabili peculiarità discendenti dalle sue premesse. Colui che agisce per contestare l’ingiunzione ricevuta, difatti, non vanta una pretesa da azionare in giudizio ma, di solito, la sua azione è unicamente volta a paralizzare quanto richiesto e ottenuto in sede monitoria.
Tuttavia, lo strumento giuridico previsto dall’ordinamento per presentare l’opposizione in questione è l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo (o il ricorso a seconda dei casi), dove il debitore ingiunto si trasformerà in opponente all’interno del giudizio di cognizione da questi introdotto con la suddetta opposizione; per converso, il creditore istante in sede monitoria diverrà l’opposto in sede di opposizione e, pertanto, dovrà costituirsi nel relativo giudizio tramite il deposito della comparsa di costituzione e risposta (o memoria difensiva a seconda dei casi).
Tale fenomeno appena descritto costituisce una vera e propria trasformazione del ruolo delle parti, le quali si trovano a subire un’inversione formale a livello processuale, rispetto al ruolo che le stesse rivestono a livello giuridico-sostanziale.
Con una recente pronuncia al riguardo, il Tribunale di Roma ha precisato che “nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la posizione processuale delle parti risulta invertita, nel senso che l’opponente (attore in senso formale) è convenuto in senso sostanziale, mentre l’opposto (convenuto in senso formale) è attore in senso sostanziale, di modo che è quest’ultimo a soggiacere ai conseguenti oneri probatori relativi ai fatti costitutivi della pretesa fatta valere in sede monitoria” (Tribunale Roma, sez. XVII, 07 agosto 2018, n.16333).
Una volta promossa l’opposizione al decreto ingiuntivo, quindi, il procedimento si svolgerà nel pieno contraddittorio tra le parti, dove, tuttavia, l’onere probatorio ricadrà interamente sul convenuto opposto che, in qualità di attore sostanziale, dovrà dimostrare quanto preteso e concesso nella precedente fase monitoria.
Di contro, il debitore ingiunto e opponente, ma formalmente considerato attore processuale, potrà difendersi contestando l’infondatezza o l’inammissibilità della pretesa azionata, chiedendo al giudice l’autorizzazione ad un’eventuale chiamata del terzo (v. Cass. Civ. n. 10085/2015), promuovendo domande riconvenzionali, eccependo eventuali vizi di forma, di incompetenza ovvero il mancato rispetto dei termini processuali, nonché ogni altro elemento utile a suo discarico.
Sebbene in materia ci siano degli orientamenti minoritari secondo cui “nell’opposizione a decreto ingiuntivo l’opponente è, in tutti i sensi e sotto tutti i profili, “attore” e l’opposto è, in tutti i sensi e sotto tutti i profili, “convenuto”. E ciò, fra l’altro, anche con riferimento alla possibilità e alle concrete modalità di proposizione delle domande riconvenzionali e di chiamata dei terzi” (Tribunale di Catania, Sez. V Civ., n. 3897 dell’ dicembre 2004), stante quanto ribadito da un recente orientamento giurisprudenziale, “in tema di procedimento per ingiunzione, per effetto dell’opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore, l’opponente quella di convenuto. Ciò esplica i suoi effetti non solo nell’ambito dell’onere della prova, ma anche in ordine ai poteri e alle preclusioni di ordine processuale rispettivamente previsti per ciascuna delle due parti. Deriva da quanto precede, pertanto, che il disposto dell’art. 269 c.p.c., che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con il procedimento instaurato tramite l’opposizione al decreto, dovendo in ogni caso l’opponente citare unicamente il soggetto che ha ottenuto detto provvedimento, non potendo le parti originariamente essere altri che il soggetto istante per l’ingiunzione di pagamento e il soggetto nei cui confronti la domanda è diretta. L’opponente, quindi, deve necessariamente chiedere al giudice, con lo stesso atto di opposizione, l’autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritiene comune la causa sulla base dell’esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto ingiuntivo” (Cassazione Civ., sez. III, 31 ottobre 2014, n.23174).
Sarà, pertanto, il giudice adito ad autorizzare un’eventuale chiamata in causa del terzo presentata dall’attore-opponente, oltre che a valutare la sussistenza e la validità del credito posto a fondamento della domanda di ingiunzione tramite l’emissione di una sentenza definitiva, il cui giudizio dovrà essere indipendente dal decreto emesso in precedenza.
Sul punto si sono mossi più orientamenti dottrinali che, rispettivamente tra loro, considerano l’opposizione in questione: un diverso grado di giudizio per il valore di “cosa giudicata” che assumerebbe il decreto non opposto, ovvero un giudizio avente una natura “ibrida” e necessario alla verifica sia delle condizioni di ammissibilità del decreto originario sia della fondatezza del credito ivi azionato, ovvero ancora una fase tutt’altro che autonoma e scindibile da quella monitoria posto che, entrambe, rappresenterebbero due sub-procedimenti appartenenti ad un unico procedimento introdotto con un’unica azione.
Secondo quest’ultima corrente di pensiero, la posizione delle parti – tanto a livello processuale che sostanziale – risulterebbe scolpita sin dal momento della proposizione della domanda introduttiva del procedimento d’ingiunzione, il quale è da intendersi in senso lato e omnicomprensivo della fase sia monitoria che oppositiva.
Tuttavia, tale tesi giuridica da ultimo riportata è stata messa in dubbio per ciò che concerne il momento della definizione del procedimento nonché la posizione delle parti che ivi concorrono.
In particolare, come affermato dalla Cassazione, risulterebbe improprio discorrere di una “costituzione dell’attore ai sensi dell’art. 165 c.p.c. ” (Cass. Civ., n. 10291/1992) la quale, attesa l’unitarietà del procedimento d’ingiunzione, si andrebbe diversamente a perfezionare già al momento della presentazione del ricorso ex art. 638 c.p.c. così da non potersi, giammai, configurare una contumacia dell’opposto. Secondo tale pronuncia, sarebbe quindi il convenuto sostanziale, attore-opponente in senso formale, a doversi costituire ex art. 166 c.p.c., ferma restando la possibilità di richiedere l’abbreviazione dei termini così come previsto dall’art. 163 bis, co. 2, c.p.c.
Di contro, sulla diversità dei procedimenti, si riporta un diverso orientamento giurisprudenziale secondo cui “l’opposizione al decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione, che, sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio (artt. 633 e 644 ss. c.p.c.), si svolge nel contraddittorio delle parti secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 c.p.c.). Ne consegue che il giudice dell’opposizione, anche quando si tratti di giudice di pace, è investito del potere-dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione (nonché sulle eccezioni e l’eventuale domanda riconvenzionale dell’opponente) ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all’esito dello stesso. Ne consegue altresì che non può avere alcuna rilevanza, per la validità della pronuncia, né che il giudice non ne dichiari la nullità e non lo revochi, né che non motivi sul punto” (Cass. Civ., Sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1184).
Alla luce delle precedenti considerazioni, appare logico evidenziare come, ancora ad oggi, sussistano delle lievi divergenze inerenti al giudizio istaurato in opposizione a decreto ingiuntivo, con particolare riferimento alla posizione delle parti. Una tale circostanza, pertanto, potrebbe inevitabilmente generare una difformità di interpretazione che, tuttavia, tende sempre più ad uniformarsi nel corso del tempo grazie alla copiosa attività prestata dalla giurisprudenza al riguardo.
Avv. Alessandro Finocchiaro
Il focus: l’inversione formale delle parti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo
Con riferimento al procedimento di ingiunzione disciplinato ai sensi dell’art. 633 c.p.c. e ss., colui che è creditore di una somma liquida di denaro ovvero di una determinata quantità di cose fungibili, così come chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata, può richiedere al giudice competente la pronuncia di una ingiunzione di pagamento o consegna per recuperare quanto gli spetta.
Tramite il deposito di un ricorso per decreto ingiuntivo, si introduce, pertanto, un procedimento monitorio volto ad ottenere un provvedimento inaudita altera parte. Qualora tale ricorso non sia affetto da vizi, entro trenta giorni dal deposito del medesimo il giudice dovrà emettere un decreto con cui ingiunge al debitore di soddisfare la pretesa creditoria avanzata, avvertendolo che, quest’ultimo, potrà proporre opposizione entro quaranta giorni dalla notifica del provvedimento.
La possibilità che il debitore ingiunto contesti quanto contenuto nella pretesa attorea, quindi, non è di per sé esclusa ma, semplicemente, postergata rispetto al provvedimento del giudice, fermo restando che, in caso di mancata opposizione nei termini previsti, il decreto ingiuntivo acquisirà efficacia esecutiva (come anche nelle ipotesi previste ex art. 642 c.p.c.).
A tal proposito, il giudizio di opposizione presenta delle innegabili peculiarità discendenti dalle sue premesse. Colui che agisce per contestare l’ingiunzione ricevuta, difatti, non vanta una pretesa da azionare in giudizio ma, di solito, la sua azione è unicamente volta a paralizzare quanto richiesto e ottenuto in sede monitoria.
Tuttavia, lo strumento giuridico previsto dall’ordinamento per presentare l’opposizione in questione è l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo (o il ricorso a seconda dei casi), dove il debitore ingiunto si trasformerà in opponente all’interno del giudizio di cognizione da questi introdotto con la suddetta opposizione; per converso, il creditore istante in sede monitoria diverrà l’opposto in sede di opposizione e, pertanto, dovrà costituirsi nel relativo giudizio tramite il deposito della comparsa di costituzione e risposta (o memoria difensiva a seconda dei casi).
Tale fenomeno appena descritto costituisce una vera e propria trasformazione del ruolo delle parti, le quali si trovano a subire un’inversione formale a livello processuale, rispetto al ruolo che le stesse rivestono a livello giuridico-sostanziale.
Con una recente pronuncia al riguardo, il Tribunale di Roma ha precisato che “nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la posizione processuale delle parti risulta invertita, nel senso che l’opponente (attore in senso formale) è convenuto in senso sostanziale, mentre l’opposto (convenuto in senso formale) è attore in senso sostanziale, di modo che è quest’ultimo a soggiacere ai conseguenti oneri probatori relativi ai fatti costitutivi della pretesa fatta valere in sede monitoria” (Tribunale Roma, sez. XVII, 07 agosto 2018, n.16333).
Una volta promossa l’opposizione al decreto ingiuntivo, quindi, il procedimento si svolgerà nel pieno contraddittorio tra le parti, dove, tuttavia, l’onere probatorio ricadrà interamente sul convenuto opposto che, in qualità di attore sostanziale, dovrà dimostrare quanto preteso e concesso nella precedente fase monitoria.
Di contro, il debitore ingiunto e opponente, ma formalmente considerato attore processuale, potrà difendersi contestando l’infondatezza o l’inammissibilità della pretesa azionata, chiedendo al giudice l’autorizzazione ad un’eventuale chiamata del terzo (v. Cass. Civ. n. 10085/2015), promuovendo domande riconvenzionali, eccependo eventuali vizi di forma, di incompetenza ovvero il mancato rispetto dei termini processuali, nonché ogni altro elemento utile a suo discarico.
Sebbene in materia ci siano degli orientamenti minoritari secondo cui “nell’opposizione a decreto ingiuntivo l’opponente è, in tutti i sensi e sotto tutti i profili, “attore” e l’opposto è, in tutti i sensi e sotto tutti i profili, “convenuto”. E ciò, fra l’altro, anche con riferimento alla possibilità e alle concrete modalità di proposizione delle domande riconvenzionali e di chiamata dei terzi” (Tribunale di Catania, Sez. V Civ., n. 3897 dell’ dicembre 2004), stante quanto ribadito da un recente orientamento giurisprudenziale, “in tema di procedimento per ingiunzione, per effetto dell’opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore, l’opponente quella di convenuto. Ciò esplica i suoi effetti non solo nell’ambito dell’onere della prova, ma anche in ordine ai poteri e alle preclusioni di ordine processuale rispettivamente previsti per ciascuna delle due parti. Deriva da quanto precede, pertanto, che il disposto dell’art. 269 c.p.c., che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con il procedimento instaurato tramite l’opposizione al decreto, dovendo in ogni caso l’opponente citare unicamente il soggetto che ha ottenuto detto provvedimento, non potendo le parti originariamente essere altri che il soggetto istante per l’ingiunzione di pagamento e il soggetto nei cui confronti la domanda è diretta. L’opponente, quindi, deve necessariamente chiedere al giudice, con lo stesso atto di opposizione, l’autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritiene comune la causa sulla base dell’esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto ingiuntivo” (Cassazione Civ., sez. III, 31 ottobre 2014, n.23174).
Sarà, pertanto, il giudice adito ad autorizzare un’eventuale chiamata in causa del terzo presentata dall’attore-opponente, oltre che a valutare la sussistenza e la validità del credito posto a fondamento della domanda di ingiunzione tramite l’emissione di una sentenza definitiva, il cui giudizio dovrà essere indipendente dal decreto emesso in precedenza.
Sul punto si sono mossi più orientamenti dottrinali che, rispettivamente tra loro, considerano l’opposizione in questione: un diverso grado di giudizio per il valore di “cosa giudicata” che assumerebbe il decreto non opposto, ovvero un giudizio avente una natura “ibrida” e necessario alla verifica sia delle condizioni di ammissibilità del decreto originario sia della fondatezza del credito ivi azionato, ovvero ancora una fase tutt’altro che autonoma e scindibile da quella monitoria posto che, entrambe, rappresenterebbero due sub-procedimenti appartenenti ad un unico procedimento introdotto con un’unica azione.
Secondo quest’ultima corrente di pensiero, la posizione delle parti – tanto a livello processuale che sostanziale – risulterebbe scolpita sin dal momento della proposizione della domanda introduttiva del procedimento d’ingiunzione, il quale è da intendersi in senso lato e omnicomprensivo della fase sia monitoria che oppositiva.
Tuttavia, tale tesi giuridica da ultimo riportata è stata messa in dubbio per ciò che concerne il momento della definizione del procedimento nonché la posizione delle parti che ivi concorrono.
In particolare, come affermato dalla Cassazione, risulterebbe improprio discorrere di una “costituzione dell’attore ai sensi dell’art. 165 c.p.c. ” (Cass. Civ., n. 10291/1992) la quale, attesa l’unitarietà del procedimento d’ingiunzione, si andrebbe diversamente a perfezionare già al momento della presentazione del ricorso ex art. 638 c.p.c. così da non potersi, giammai, configurare una contumacia dell’opposto. Secondo tale pronuncia, sarebbe quindi il convenuto sostanziale, attore-opponente in senso formale, a doversi costituire ex art. 166 c.p.c., ferma restando la possibilità di richiedere l’abbreviazione dei termini così come previsto dall’art. 163 bis, co. 2, c.p.c.
Di contro, sulla diversità dei procedimenti, si riporta un diverso orientamento giurisprudenziale secondo cui “l’opposizione al decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione, che, sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio (artt. 633 e 644 ss. c.p.c.), si svolge nel contraddittorio delle parti secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 c.p.c.). Ne consegue che il giudice dell’opposizione, anche quando si tratti di giudice di pace, è investito del potere-dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione (nonché sulle eccezioni e l’eventuale domanda riconvenzionale dell’opponente) ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all’esito dello stesso. Ne consegue altresì che non può avere alcuna rilevanza, per la validità della pronuncia, né che il giudice non ne dichiari la nullità e non lo revochi, né che non motivi sul punto” (Cass. Civ., Sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1184).
Alla luce delle precedenti considerazioni, appare logico evidenziare come, ancora ad oggi, sussistano delle lievi divergenze inerenti al giudizio istaurato in opposizione a decreto ingiuntivo, con particolare riferimento alla posizione delle parti. Una tale circostanza, pertanto, potrebbe inevitabilmente generare una difformità di interpretazione che, tuttavia, tende sempre più ad uniformarsi nel corso del tempo grazie alla copiosa attività prestata dalla giurisprudenza al riguardo.
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