Danno non patrimoniale, sì al risarcimento anche se immissioni sotto ai limiti
Con l’ordinanza n. 23754/2018 la Suprema Corte ha affrontato la questione della risarcibilità del danno non patrimoniale da immissioni moleste, anche nel caso in cui queste non superino i livelli di accettabilità previsti da norme pubblicistiche.
Il caso di specie riguardava la rimozione in via d’urgenza di una canna fumaria relativa ad una attività di ristorazione collocata, anche in violazione delle norme in materia di distanze, al piano terra di un edificio condominiale, onde eliminarne i fumi, il calore e gli odori prodotti. Il Tribunale di Agrigento, all’esito di una CTU, accoglieva il ricorso ordinando l’immediata rimozione della canna fumaria e, nell’ambito del giudizio di merito introdotto dai ricorrenti per conseguire il risarcimento dei danni subiti ex art. 844 c.c., condannava la resistente al pagamento di una somma a titolo di ristoro. Respinto il ricorso in appello, la parte resistente ricorreva in Cassazione.
Gli Ermellini, sposando la tesi del giudice di merito, hanno precisato come in tema di immissioni, anche a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 208 del 2008, art. 6 ter (modificato dalla legge di conversione n. 13 del 2009) non si possa derogare a quanto disposto dall’art. 84 c.c. ed in particolare al criterio della normale tollerabilità.
Come più volte affermato dalla stessa Corte in precedenti decisioni (si veda Cass. n. 20198/2016; n. 1069/2017; n. 1151/2003) è infatti prevalente, rispetto alle esigenze della produzione, la tutela di un livello normale di qualità della vita. La normativa di interesse generale che fissa per esigenze di carattere pubblico i livelli di accettabilità delle immissioni persegue interessi pubblicistici, ed è dunque destinata ad operare principalmente nei rapporti verticali tra privati e p.a. Se il superamento di tale soglia sarà di per se illecito, eventuali immissioni di tenore inferiore potranno comunque dirsi intollerabili ex art. 844 c.c., dovendosi tenere separati il piano della tutela di carattere amministrativo da quello di tutela delle situazioni soggettive di diritto privato. L’art. 844 c.c., infatti, rimanda il giudizio sulla tollerabilità delle immissioni a un prudente apprezzamento dell’organo giudicante, il quale dovrà tenere in considerazione tutte le particolarità del caso concreto (in tal senso anche Cass. 17281/2005).
Il riconoscimento del danno non patrimoniale da immissioni illecite non è inoltre, come sottolineato dalla Corte, un pregiudizio in re ipsa bensì il frutto di un apprezzamento, anche tramite presunzioni, del superamento della soglia di normale tollerabilità.
Il risarcimento dei danni non patrimoniali patiti dai condomini in seguito alle immissioni di fumo, precisa poi la Suprema Corte, non sarà ostacolato dall’assenza di un danno biologico documentato ove vi sia la contemporanea lesione dei diritti al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, in quanto questi sono diritti costituzionalmente garantiti ed altresì riconosciuti dall’art. 8 CEDU.
La Corte ha per tali ragioni rigettato il ricorso.
Dott.ssa Caterina Marino
Danno non patrimoniale, sì al risarcimento anche se immissioni sotto ai limiti
Con l’ordinanza n. 23754/2018 la Suprema Corte ha affrontato la questione della risarcibilità del danno non patrimoniale da immissioni moleste, anche nel caso in cui queste non superino i livelli di accettabilità previsti da norme pubblicistiche.
Il caso di specie riguardava la rimozione in via d’urgenza di una canna fumaria relativa ad una attività di ristorazione collocata, anche in violazione delle norme in materia di distanze, al piano terra di un edificio condominiale, onde eliminarne i fumi, il calore e gli odori prodotti. Il Tribunale di Agrigento, all’esito di una CTU, accoglieva il ricorso ordinando l’immediata rimozione della canna fumaria e, nell’ambito del giudizio di merito introdotto dai ricorrenti per conseguire il risarcimento dei danni subiti ex art. 844 c.c., condannava la resistente al pagamento di una somma a titolo di ristoro. Respinto il ricorso in appello, la parte resistente ricorreva in Cassazione.
Gli Ermellini, sposando la tesi del giudice di merito, hanno precisato come in tema di immissioni, anche a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 208 del 2008, art. 6 ter (modificato dalla legge di conversione n. 13 del 2009) non si possa derogare a quanto disposto dall’art. 84 c.c. ed in particolare al criterio della normale tollerabilità.
Come più volte affermato dalla stessa Corte in precedenti decisioni (si veda Cass. n. 20198/2016; n. 1069/2017; n. 1151/2003) è infatti prevalente, rispetto alle esigenze della produzione, la tutela di un livello normale di qualità della vita. La normativa di interesse generale che fissa per esigenze di carattere pubblico i livelli di accettabilità delle immissioni persegue interessi pubblicistici, ed è dunque destinata ad operare principalmente nei rapporti verticali tra privati e p.a. Se il superamento di tale soglia sarà di per se illecito, eventuali immissioni di tenore inferiore potranno comunque dirsi intollerabili ex art. 844 c.c., dovendosi tenere separati il piano della tutela di carattere amministrativo da quello di tutela delle situazioni soggettive di diritto privato. L’art. 844 c.c., infatti, rimanda il giudizio sulla tollerabilità delle immissioni a un prudente apprezzamento dell’organo giudicante, il quale dovrà tenere in considerazione tutte le particolarità del caso concreto (in tal senso anche Cass. 17281/2005).
Il riconoscimento del danno non patrimoniale da immissioni illecite non è inoltre, come sottolineato dalla Corte, un pregiudizio in re ipsa bensì il frutto di un apprezzamento, anche tramite presunzioni, del superamento della soglia di normale tollerabilità.
Il risarcimento dei danni non patrimoniali patiti dai condomini in seguito alle immissioni di fumo, precisa poi la Suprema Corte, non sarà ostacolato dall’assenza di un danno biologico documentato ove vi sia la contemporanea lesione dei diritti al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, in quanto questi sono diritti costituzionalmente garantiti ed altresì riconosciuti dall’art. 8 CEDU.
La Corte ha per tali ragioni rigettato il ricorso.
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