
Chiede soldi ai titolari di una pasticceria: ispettore del lavoro condannato per concussione
“Presenza di tratti essenziali ai fini della sussistenza del reato di concussione in occasione dell’impugnazione della condanna subita da un dipendente dell’Ispettorato del lavoro che si era fatto consegnare dai titolari di una pasticceria delle somme di denaro al fine di evitare o mitigare l’imminente controllo sui dipendenti”.
È quanto statuito dalla Suprema Corte di Cassazione sez. VI Penale con sentenza n. 30740/2018, depositata il 6 luglio, con la quale ha rigettato i motivi di ricorso proposti dall’imputato.
Nella fattispecie in esame all’imputato veniva contestato il reato di concussione ex art. 317 c.p., poiché, abusando della sua qualità di dipendente dell’Ispettorato del lavoro, aveva estorto denaro a dei titolari di una pasticceria al fine di eludere i regolari controlli sui dipendenti.
Sul merito della questione si era pronunciato, inizialmente, il Tribunale di Napoli che aveva dichiarato l’imputato colpevole per essersi fatto dare, illegittimamente, delle somme di denaro attraverso il compimento di un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio.
Nel caso de quo la sentenza di condanna veniva confermata dalla Corte d’Appello di Napoli che avvalorava quanto descritto nei capi di imputazione del Giudice di prime cure.
In extrema ratio l’imputato presentava ricorso lamentando erronea applicazione della legge e vizio di motivazione in relazione al reato contestatogli e, in particolar modo, alla sua qualifica che non era inquadrabile nella figura di ispettore del lavoro, ma in un semplice dipendente amministrativo.
Inoltre, secondo il ricorrente, il giudice aveva omesso di verificare l’effettiva destinazione del denaro percepito che, in realtà, era una donazione volontaria, destinata a sostenere la squadra di calcio amatoriale.
Per gli Ermellini i motivi di ricorso proposti dall’imputato sono da considerarsi privi di fondamento e, uniformandosi alle precedenti pronunce, hanno confermato quanto stabilito dal Tribunale e dalla Corte di Appello, osservando come nel caso di specie la condotta fosse inquadrabile nel reato di concussione poiché, dalle dichiarazioni accusatorie delle persone danneggiate, risulterebbe che l’indebito vantaggio fosse andato a confluire nella sfera dell’imputato che aveva abusato della qualità soggettiva di pubblico ufficiale.
Dott.ssa Chiara Cavallaro

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