Concessioni sepolcrali: la sentenza del Consiglio di Stato
“In caso di un rapporto giuridico di durata caratterizzato dalla natura perpetua della concessione, sul piano logico-giuridico non può darsi luogo alla possibilità di una venuta a scadenza del termine e di un conseguente potere, da parte dell’amministrazione comunale, di disporre proroghe del termine medesimo o rinnovi del rapporto in sé complessivamente considerato”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione IV, con la sentenza n. 4530 del 28 settembre 2017.
La controversia riguarda l’impugnazione della delibera della giunta comunale del comune di Pescopagano n. 33 del 18 aprile 2007 avente ad oggetto la decadenza dalla titolarità di due concessioni sepolcrali sulle “aiuole” cimiteriali contrassegnate dai numeri 6 e 7, ubicate nel cimitero locale e rilasciate nel lontano anno 1907 ai danti causa dell’odierno appellante.
Il Tar Basilicata, con sentenza n. 531/2010 respingeva il ricorso e di conseguenza, avverso la predetta sentenza, veniva proposto appello al Consiglio di Stato.
Secondo i Giudici di Palazzo Spada “È indubbio che le anzidette concessioni furono rilasciate sotto il vigore del Regio Decreto 25 luglio 1892 (recante approvazione del nuovo regolamento di polizia mortuaria), il cui art. 100 espressamente prevedeva che “Il posto per sepolture private potrà essere concesso per tempo determinato o a perpetuità”. La fattispecie all’esame è, pertanto, ratione temporis, disciplinata da tale norma. L’espressione “vendere” utilizzata negli anzidetti atti, benché tecnicamente impropria non potendo darsi, giuridicamente, la possibilità di vendita di beni demaniali, ma soltanto la costituzione di diritti di godimento con titolo concessorio, è tuttavia indicativa della natura giuridica dell’atto voluto dalle parti e, soprattutto, della sua durata, intesa all’evidenza nel senso della perpetuità”.
Inoltre, prosegue il Collegio, “Di fronte ad una concessione perpetua l’amministrazione potrebbe, semmai, nell’esercizio del proprio potere di autotutela revocare l’atto per sopravvenuti motivi di interesse pubblico o per mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, anche, semplicemente, per una nuova valutazione degli elementi e dei presupposti di fatto preesistenti, ma ciò con il rispetto delle garanzie e delle modalità (soprattutto quanto alla previsione dell’indennizzo economico) previste dall’art. 21-quinquies della legge generale n. 241/1990 a tutela delle posizioni giuridiche maturate dal privato a seguito dell’atto ampliativo”.
Pertanto, conclude il Consiglio di Stato, “non essendo stato esercitato, nel caso che ci occupa, il potere di revoca in via di autotutela con tutte le garanzie ad esso sottese ed essendo stata fatta applicazione di un regime (quello del rinnovo) predicabile per i soli rapporti di durata sottoposti a termine, evenienza – questa – che non ricorre per tutto quanto sopra detto, attesa la natura perpetua delle concessioni, non può che concludersi nel senso dell’illegittimità dell’atto impugnato.”.
L’appello, pertanto, veniva accolto e l’atto impugnato annullato.
Dott. Andrea Paolucci
Concessioni sepolcrali: la sentenza del Consiglio di Stato
“In caso di un rapporto giuridico di durata caratterizzato dalla natura perpetua della concessione, sul piano logico-giuridico non può darsi luogo alla possibilità di una venuta a scadenza del termine e di un conseguente potere, da parte dell’amministrazione comunale, di disporre proroghe del termine medesimo o rinnovi del rapporto in sé complessivamente considerato”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione IV, con la sentenza n. 4530 del 28 settembre 2017.
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Secondo i Giudici di Palazzo Spada “È indubbio che le anzidette concessioni furono rilasciate sotto il vigore del Regio Decreto 25 luglio 1892 (recante approvazione del nuovo regolamento di polizia mortuaria), il cui art. 100 espressamente prevedeva che “Il posto per sepolture private potrà essere concesso per tempo determinato o a perpetuità”. La fattispecie all’esame è, pertanto, ratione temporis, disciplinata da tale norma. L’espressione “vendere” utilizzata negli anzidetti atti, benché tecnicamente impropria non potendo darsi, giuridicamente, la possibilità di vendita di beni demaniali, ma soltanto la costituzione di diritti di godimento con titolo concessorio, è tuttavia indicativa della natura giuridica dell’atto voluto dalle parti e, soprattutto, della sua durata, intesa all’evidenza nel senso della perpetuità”.
Inoltre, prosegue il Collegio, “Di fronte ad una concessione perpetua l’amministrazione potrebbe, semmai, nell’esercizio del proprio potere di autotutela revocare l’atto per sopravvenuti motivi di interesse pubblico o per mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, anche, semplicemente, per una nuova valutazione degli elementi e dei presupposti di fatto preesistenti, ma ciò con il rispetto delle garanzie e delle modalità (soprattutto quanto alla previsione dell’indennizzo economico) previste dall’art. 21-quinquies della legge generale n. 241/1990 a tutela delle posizioni giuridiche maturate dal privato a seguito dell’atto ampliativo”.
Pertanto, conclude il Consiglio di Stato, “non essendo stato esercitato, nel caso che ci occupa, il potere di revoca in via di autotutela con tutte le garanzie ad esso sottese ed essendo stata fatta applicazione di un regime (quello del rinnovo) predicabile per i soli rapporti di durata sottoposti a termine, evenienza – questa – che non ricorre per tutto quanto sopra detto, attesa la natura perpetua delle concessioni, non può che concludersi nel senso dell’illegittimità dell’atto impugnato.”.
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