Remissione di querela, la sentenza della Cassazione
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13897 depositata il 22 marzo 2017, ha statuito il seguente principio di diritto “il giudice può emanare sentenza di non luogo a procedere quando il querelante non compaia nel processo, dopo esser stato avvertito del fatto che la sua eventuale assenza sarà interpretata come «fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela»”.
Il caso specifico portato all’attenzione della Suprema Corte, concerneva un soggetto imputato del reato di cui all’art. 612 c.p. per aver tenuto una condotta minacciosa nei confronti della ex compagna con lui convivente.
Il Giudice di prime cure emetteva sentenza di non doversi procedere rilevando la tacita remissione di querela della querelante non presentatasi in udienza.
Adiva la Suprema Corte il Pubblico Ministero della Corte d’Appello il quale impugnava il provvedimento emesso in primo grado fondando il proprio il ricorso sull’assunto secondo cui la mancata partecipazione attiva della querelante nel processo, non potesse essere ricondotto nell’alveo di quei “fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela” indicati all’art. 152 c.p. disciplinante la remissione di querela.
Sulla questione hanno avuto modo di pronunciarsi le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 31668 del 2016 con la quale, fugando ogni dubbio sul punto, hanno affermato che “Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale (nella specie davanti al Giudice di pace) del querelante, previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela”.
Inoltre, quanto statuito dal Supremo Consesso, fa’ da pendant al dovere di favorire la conciliazione tra le parti gravante sul Giudice di Pace, il quale, al fine di perseguire lo scopo predetto, legittimamente può adottare le misure più funzionali al raggiungimento dello stesso, tra cui, ad esempio, l’avvertimento alle parti della valutazione che potrebbe essere attribuita loro condotta passiva.
In ossequio alle argomentazioni poc’anzi addotte, la Suprema Corte rigettava il ricorso avanzato dal pubblico ministero della Corte di Appello.
Dott. Marco Conti
Remissione di querela, la sentenza della Cassazione
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13897 depositata il 22 marzo 2017, ha statuito il seguente principio di diritto “il giudice può emanare sentenza di non luogo a procedere quando il querelante non compaia nel processo, dopo esser stato avvertito del fatto che la sua eventuale assenza sarà interpretata come «fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela»”.
Il caso specifico portato all’attenzione della Suprema Corte, concerneva un soggetto imputato del reato di cui all’art. 612 c.p. per aver tenuto una condotta minacciosa nei confronti della ex compagna con lui convivente.
Il Giudice di prime cure emetteva sentenza di non doversi procedere rilevando la tacita remissione di querela della querelante non presentatasi in udienza.
Adiva la Suprema Corte il Pubblico Ministero della Corte d’Appello il quale impugnava il provvedimento emesso in primo grado fondando il proprio il ricorso sull’assunto secondo cui la mancata partecipazione attiva della querelante nel processo, non potesse essere ricondotto nell’alveo di quei “fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela” indicati all’art. 152 c.p. disciplinante la remissione di querela.
Sulla questione hanno avuto modo di pronunciarsi le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 31668 del 2016 con la quale, fugando ogni dubbio sul punto, hanno affermato che “Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale (nella specie davanti al Giudice di pace) del querelante, previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela”.
Inoltre, quanto statuito dal Supremo Consesso, fa’ da pendant al dovere di favorire la conciliazione tra le parti gravante sul Giudice di Pace, il quale, al fine di perseguire lo scopo predetto, legittimamente può adottare le misure più funzionali al raggiungimento dello stesso, tra cui, ad esempio, l’avvertimento alle parti della valutazione che potrebbe essere attribuita loro condotta passiva.
In ossequio alle argomentazioni poc’anzi addotte, la Suprema Corte rigettava il ricorso avanzato dal pubblico ministero della Corte di Appello.
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