Processo amministrativo telematico, la sentenza del Consiglio di Stato
“Per mantenere intatte le finalità proprie del PAT ed impedirne la pratica elusione deve ritenersi che, se il ricorso e il deposito sono irregolari perché non assistiti, il primo, dalla forma e dalla sottoscrizione digitale, il secondo, dalla modalità telematica, l’irregolarità che si verifica (diversa da quella per così dire ‘ordinaria’) non può essere sanata dalla costituzione degli intimati in base allo schema divisato dalla norma sancita dall’art. 44, comma 3, c.p.a.”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione IV, con la sentenza n. 1541 del 4 aprile 2017.
In data 23 giugno 2016, il ricorrente originale, proprietario di un’area abusivamente occupata dal Comune resistente e irreversibilmente trasformata per la realizzazione di un’opera pubblica, chiedeva al Comune di avviare il procedimento per l’acquisizione coattiva del fondo a suo tempo occupato ex art. 42 bis D.P.R. 327/01.
Vista la mancata risposta dell’Amministrazione, il ricorrente impugnava il silenzio ex art. 117 c.p.a..
Con sentenza 12 gennaio 2017, n. 54, il T.a.r. per la Calabria, sez. II, accoglieva il ricorso.
Il Comune proponeva pertanto appello avverso la sentenza n. 54/2017.
In via preliminare, i Giudici di Palazzo Spada aditi hanno ritenuto necessario affrontare la questione, sollevata dall’appellato, riguardante il regime del ricorso in appello redatto in forma cartacea e non sottoscritto in forma digitale.
Secondo i Giudici del Consiglio di Stato “vale senz’altro anche per il processo amministrativo il principio generale sancito dall’art. 156, primo comma, c.p.c., secondo il quale l’inosservanza di forme comporta la nullità degli atti del processo solo in caso di espressa comminatoria da parte della legge, che non occorre invece per l’inesistenza (qui da escludere) perché “il legislatore non ha motivo di disciplinare gli effetti di ciò che non esiste, non solo, com’è ovvio, dal punto di vista storico-naturalistico, ma anche sotto il profilo giuridico”. Poiché nella disciplina del PAT manca una specifica previsione di nullità per difetto della forma e della sottoscrizione digitale, viene meno il presupposto necessario per dichiarare il ricorso nullo nella sua fase genetica, ovvero in relazione alla successiva notificazione e deposito; difettando, anche in questo caso, disposizioni che sanciscano la nullità dell’adempimento se realizzato in formato cartaceo”.
Infatti, prosegue il Collegio, “Per mantenere intatte le finalità proprie del PAT ed impedirne la pratica elusione – che rischierebbe di tramutarsi in una fuga sistematica dalla forma digitale (con grave pregiudizio per le esigenze di correntezza della gestione informatica del processo amministrativo) – deve tuttavia ritenersi che, se il ricorso e il deposito sono irregolari perché non assistiti, il primo, dalla forma e dalla sottoscrizione digitale, il secondo, dalla modalità telematica, l’irregolarità che si verifica (diversa da quella per così dire “ordinaria”) non possa essere sanata dalla costituzione degli intimati in base allo schema divisato dalla norma sancita dall’art. 44, comma 3, c.p.a., secondo cui, in caso di atto irregolare, la costituzione dell’intimato – indipendentemente dalla tempestività della costituzione medesima rispetto al termine concesso al ricorrente per espletare l’adempimento (non venendo in rilievo una fattispecie di nullità) – comporterebbe sempre e comunque la sanatoria dell’atto irregolare”.
Pertanto, il Consiglio di Stato adito assegnava al Comune appellante il termine perentorio di trenta giorni, decorrente dalla comunicazione della presente sentenza, per provvedere agli adempimenti richiesti.
Dott. Andrea Paolucci
Processo amministrativo telematico, la sentenza del Consiglio di Stato
“Per mantenere intatte le finalità proprie del PAT ed impedirne la pratica elusione deve ritenersi che, se il ricorso e il deposito sono irregolari perché non assistiti, il primo, dalla forma e dalla sottoscrizione digitale, il secondo, dalla modalità telematica, l’irregolarità che si verifica (diversa da quella per così dire ‘ordinaria’) non può essere sanata dalla costituzione degli intimati in base allo schema divisato dalla norma sancita dall’art. 44, comma 3, c.p.a.”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione IV, con la sentenza n. 1541 del 4 aprile 2017.
In data 23 giugno 2016, il ricorrente originale, proprietario di un’area abusivamente occupata dal Comune resistente e irreversibilmente trasformata per la realizzazione di un’opera pubblica, chiedeva al Comune di avviare il procedimento per l’acquisizione coattiva del fondo a suo tempo occupato ex art. 42 bis D.P.R. 327/01.
Vista la mancata risposta dell’Amministrazione, il ricorrente impugnava il silenzio ex art. 117 c.p.a..
Con sentenza 12 gennaio 2017, n. 54, il T.a.r. per la Calabria, sez. II, accoglieva il ricorso.
Il Comune proponeva pertanto appello avverso la sentenza n. 54/2017.
In via preliminare, i Giudici di Palazzo Spada aditi hanno ritenuto necessario affrontare la questione, sollevata dall’appellato, riguardante il regime del ricorso in appello redatto in forma cartacea e non sottoscritto in forma digitale.
Secondo i Giudici del Consiglio di Stato “vale senz’altro anche per il processo amministrativo il principio generale sancito dall’art. 156, primo comma, c.p.c., secondo il quale l’inosservanza di forme comporta la nullità degli atti del processo solo in caso di espressa comminatoria da parte della legge, che non occorre invece per l’inesistenza (qui da escludere) perché “il legislatore non ha motivo di disciplinare gli effetti di ciò che non esiste, non solo, com’è ovvio, dal punto di vista storico-naturalistico, ma anche sotto il profilo giuridico”. Poiché nella disciplina del PAT manca una specifica previsione di nullità per difetto della forma e della sottoscrizione digitale, viene meno il presupposto necessario per dichiarare il ricorso nullo nella sua fase genetica, ovvero in relazione alla successiva notificazione e deposito; difettando, anche in questo caso, disposizioni che sanciscano la nullità dell’adempimento se realizzato in formato cartaceo”.
Infatti, prosegue il Collegio, “Per mantenere intatte le finalità proprie del PAT ed impedirne la pratica elusione – che rischierebbe di tramutarsi in una fuga sistematica dalla forma digitale (con grave pregiudizio per le esigenze di correntezza della gestione informatica del processo amministrativo) – deve tuttavia ritenersi che, se il ricorso e il deposito sono irregolari perché non assistiti, il primo, dalla forma e dalla sottoscrizione digitale, il secondo, dalla modalità telematica, l’irregolarità che si verifica (diversa da quella per così dire “ordinaria”) non possa essere sanata dalla costituzione degli intimati in base allo schema divisato dalla norma sancita dall’art. 44, comma 3, c.p.a., secondo cui, in caso di atto irregolare, la costituzione dell’intimato – indipendentemente dalla tempestività della costituzione medesima rispetto al termine concesso al ricorrente per espletare l’adempimento (non venendo in rilievo una fattispecie di nullità) – comporterebbe sempre e comunque la sanatoria dell’atto irregolare”.
Pertanto, il Consiglio di Stato adito assegnava al Comune appellante il termine perentorio di trenta giorni, decorrente dalla comunicazione della presente sentenza, per provvedere agli adempimenti richiesti.
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