Minaccia il proprietario di un locale per avere alcolici: condannato per estorsione
Con la sentenza n. 16568/17 la Corte di Cassazione ribadiva che “non vi è dubbio che sia configurabile il delitto di estorsione, e non quello di violenza privata, nel caso in cui l’agente, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che gli procuri danno economico”.
Il caso di specie fa riferimento ad una sentenza della Corte di Appello di Trieste, che, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale di Gorizia, ha riconosciuto all’imputato, colpevole di aver minacciato il proprietario di un esercizio commerciale per farsi servire alcolici gratis per quasi un anno, le attenuanti generiche previste dal comma IV dell’art. 62 c.p. e, esclusa la recidiva, ha ridotto la pena inflitta in primo grado relativamente ai reati di estorsione e minaccia aggravata.
La Corte territoriale ha però respinto le ulteriori censure mosse con l’atto di appello circa la riconosciuta responsabilità penale del soggetto.
L’imputato ha proposto ricorso avverso tale sentenza per erronea applicazione della legge penale e mancanza ed illogicità della motivazione.
Circa il caso succitato è importante sottolineare che l’imputato si è recato per quasi un anno e con frequenza quotidiana presso l’esercizio commerciale della vittima con fare intimidatorio e abbia, attraverso un atteggiamento minaccioso ed aggressivo, consumato sempre senza pagare, alcune volte richiedendolo esplicitamente altre volte attraverso comportamenti concludenti.
Poiché emerso in modo chiaro il «clima di intimidazione» creato dal criminale la Corte di Cassazione ha confermato che nel caso suddetto è certamente configurabile il delitto di estorsione e non quello di violenza privata.
Dott.ssa Rosita Sovrani
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