Separazione, beni di proprietà ex convivente vanno restituiti
La Seconda Sezione della Suprema Corte, con la sentenza n. 4685/17, è tornata a pronunciarsi in merito al regime dei beni oggetto di convivenza more uxorio.
La pronuncia in esame traeva origine, in primo grado, dalla domanda proposta avverso l’ex convivente, volta ad ottenere la condanna dello stesso alla restituzione degli arredi e oggetti personali specificamente indicati in citazione, rimasti nella casa familiare dopo l’allontanamento.
La domanda restitutoria, respinta in primo grado, veniva accolta dal Giudice d’Appello, ad eccezione di una scatola di lacca cinese del 1800, e dei beni strettamente connessi alle necessità dei figli rimasti nell’alloggio.
Tra le varie doglianze oggetto del ricorso per cassazione, il ricorrente denunciava la violazione delle norme in materia di comunione dei beni dettate dall’art. 177 c.c. e seguenti, in quanto asseritamente applicabili in via analogica.
Tale interpretazione, tuttavia, risulta priva di pregio in quanto la disciplina comunionistica non può trovare applicazione in assenza di allegazione di uno specifico titolo negoziale, evidentemente carente nel caso di specie.
La Suprema Corte argomentava ulteriormente tale assunto, rilevando, inoltre, che “la convivenza more uxorio determina infatti, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente, che assume i connotati tipici di una detenzione qualificata”.
Tale fattispecie, regolata dall’art. 1140 c.c., secondo comma e dal successivo art. 1141 c.c., si sostanzia quale situazione soggettiva diversa dal possesso, e si caratterizza per il riconoscimento dell’altrui proprietà o di altro diritto reale.
Pertanto, nella sussistenza della vita comune, il convivente risulterà mero detentore dei beni di proprietà del partner, in quanto privo dell’animus possidendi.
Sicchè, alla conclusione della convivenza, il proprietario potrà agire in giudizio per la restituzione dei beni di sua proprietà giacenti nell’ex alloggio comune.
In forza di tutte le motivazioni esposte, la Suprema Corte rigettava il ricorso.
Dott. Giordano Mele
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Tale interpretazione, tuttavia, risulta priva di pregio in quanto la disciplina comunionistica non può trovare applicazione in assenza di allegazione di uno specifico titolo negoziale, evidentemente carente nel caso di specie.
La Suprema Corte argomentava ulteriormente tale assunto, rilevando, inoltre, che “la convivenza more uxorio determina infatti, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente, che assume i connotati tipici di una detenzione qualificata”.
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