Ha una figlia di 7 mesi: illegittimo il suo licenziamento
La Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con sentenza n. 475/17, depositata l’11 gennaio u.s., ha riconosciuto l’abuso compiuto da un’azienda per aver illegittimamente licenziato una lavoratrice, madre di una bambina di 7 mesi.
La Corte d’Appello aveva riconosciuto senza alcun dubbio l’illegittimità del licenziamento subito dalla donna, condannando l’azienda a «riassumere la dipendente» o a «risarcirle il danno, commisurato in cinque mensilità dall’ultima retribuzione globale di fatto».
Questo verdetto, però, per la donna non è stato sufficiente tanto che, nonostante la vittoria in secondo grado, la stessa ha comunque proposto ricorso in Cassazione lamentando la circostanza che, al momento del licenziamento, sua figlia avesse soli 7 mesi.
La donna, pertanto, ha voluto che la Suprema Corte le riconoscesse non solo l’illegittimità del licenziamento, ma soprattutto il fatto che questo fosse avvenuto mentre era madre di una bambina che non aveva ancora compiuto un anno di età.
Tale obiezione è stata accolta dalla Suprema Corte che ha, dunque, rilevato l’errore da parte dei Giudici di secondo grado i quali non avrebbero tenuto conto dello stato di maternità della donna, circostanza considerata invece fondamentale dai giudici della Cassazione in quanto «il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’inizio del periodo di gestazione sino al compimento di un anno di età del bambino è nullo e improduttivo di effetti».
Secondo i magistrati della Suprema Corte, quindi, «il rapporto va considerato come mai interrotto» e «la lavoratrice ha diritto alle retribuzioni dal giorno del licenziamento sino alla effettiva riammissione in servizio» e non solo di cinque mensilità come aveva inizialmente sentenziato la Corte d’Appello “tralasciando” la circostanza che la donna fosse madre di una bambina di 7 mesi.
Dott. ssa Carmen Giovannini
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La Corte d’Appello aveva riconosciuto senza alcun dubbio l’illegittimità del licenziamento subito dalla donna, condannando l’azienda a «riassumere la dipendente» o a «risarcirle il danno, commisurato in cinque mensilità dall’ultima retribuzione globale di fatto».
Questo verdetto, però, per la donna non è stato sufficiente tanto che, nonostante la vittoria in secondo grado, la stessa ha comunque proposto ricorso in Cassazione lamentando la circostanza che, al momento del licenziamento, sua figlia avesse soli 7 mesi.
La donna, pertanto, ha voluto che la Suprema Corte le riconoscesse non solo l’illegittimità del licenziamento, ma soprattutto il fatto che questo fosse avvenuto mentre era madre di una bambina che non aveva ancora compiuto un anno di età.
Tale obiezione è stata accolta dalla Suprema Corte che ha, dunque, rilevato l’errore da parte dei Giudici di secondo grado i quali non avrebbero tenuto conto dello stato di maternità della donna, circostanza considerata invece fondamentale dai giudici della Cassazione in quanto «il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’inizio del periodo di gestazione sino al compimento di un anno di età del bambino è nullo e improduttivo di effetti».
Secondo i magistrati della Suprema Corte, quindi, «il rapporto va considerato come mai interrotto» e «la lavoratrice ha diritto alle retribuzioni dal giorno del licenziamento sino alla effettiva riammissione in servizio» e non solo di cinque mensilità come aveva inizialmente sentenziato la Corte d’Appello “tralasciando” la circostanza che la donna fosse madre di una bambina di 7 mesi.
Dott. ssa Carmen Giovannini
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