
Extracomunitari, condanna per droga ostativa al rilascio del permesso di soggiorno
“Le condanne dell’extracomunitario in materia di stupefacenti sono automaticamente ostative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, qualunque sia la pena detentiva riportata dal condannato e non rilevando la concessione della sospensione condizionale, ai sensi del chiaro disposto dell’art. 4, comma 3, d.lg. n. 286 del 1998, e ciò per il grave disvalore che il legislatore attribuisce, ‘a monte’, ai reati in questione ai fini della tutela della sicurezza pubblica”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione III, con la sentenza n. 3841 del 9 settembre u.s..
Nel caso di specie era stato proposto appello al C.d.S. per la riforma della sentenza n. 361/16 emessa dal TAR Lombardia, sede di Brescia, Sez. II, concernete il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno.
L’interessato impugnava il suddetto diniego chiedendone l’annullamento, deducendo “la mancata comunicazione del preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10 bis, l. 7 agosto 1990, n. 241, e carenza di motivazione, nonché la violazione dell’art. 5, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, anche alla luce della sentenza n. 202 del 2013 della Corte Costituzionale, evidenziando che l’Amministrazione avrebbe dovuto effettuare una verifica sulla sua pericolosità sociale, concreta ed attuale, nonché valutare la natura e l’effettività dei vincoli familiari, la durata del suo soggiorno in Italia (25 anni) e l’inserimento sociale e lavorativo”.
L’impugnazione veniva, però, respinta dai giudici amministrativi.
Pertanto, con l’appello in esame, l’interessato chiedeva che, in riforma della sentenza impugnata, “il ricorso di primo grado sia accolto, deducendo l’erroneità della sentenza, poiché il TAR non avrebbe considerato il lungo tempo trascorso in Italia e il suo radicamento nel territorio dello Stato, dimostrato dall’aver acquistato un immobile, nel quale vive con la famiglia”.
I giudici di Palazzo Spada hanno, però, rigettato l’appello, ritenendo ragionevole e motivata la decisione del Tar sia con riferimento al bilanciato tra l’interesse del ricorrente a restare in Italia con la propria famiglia e quello pubblico a negargli il rinnovo del permesso di soggiorno sia con riferimento al giudizio di prevalenza del primo sul secondo.
Ed infatti nel caso di specie occorre considerare che: l’appellante aveva subito una condanna a due anni e otto mesi di reclusione e ad € 14.000 di multa per il reato di detenzione illecita ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti; inoltre – come pure sottolineato dal Questore nel motivare il diniego de quo – l’esigenza di salvaguardare l’unità familiare, invocata dal ricorrente, “non ha agito da deterrente per impedire la commissione del reato” né il periodo di permanenza sul territorio dello stato dell’appellante soddisfa la condizione di c.d. lungo soggiornante, avendo regolarizzato la sua posizione in Italia solo nel 2011.
Ne deriva, che il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, alla luce del quadro fattuale sopra delineato, è “coerente con la ratio delle disposizioni sull’immigrazione che, accanto alla verifica dell’idoneità dello straniero ad inserirsi in un sano contesto socio economico, prendono anche in primaria considerazione le esigenze di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica”.
Dott. Andrea Paolucci

Extracomunitari, condanna per droga ostativa al rilascio del permesso di soggiorno
“Le condanne dell’extracomunitario in materia di stupefacenti sono automaticamente ostative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, qualunque sia la pena detentiva riportata dal condannato e non rilevando la concessione della sospensione condizionale, ai sensi del chiaro disposto dell’art. 4, comma 3, d.lg. n. 286 del 1998, e ciò per il grave disvalore che il legislatore attribuisce, ‘a monte’, ai reati in questione ai fini della tutela della sicurezza pubblica”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione III, con la sentenza n. 3841 del 9 settembre u.s..
Nel caso di specie era stato proposto appello al C.d.S. per la riforma della sentenza n. 361/16 emessa dal TAR Lombardia, sede di Brescia, Sez. II, concernete il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno.
L’interessato impugnava il suddetto diniego chiedendone l’annullamento, deducendo “la mancata comunicazione del preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10 bis, l. 7 agosto 1990, n. 241, e carenza di motivazione, nonché la violazione dell’art. 5, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, anche alla luce della sentenza n. 202 del 2013 della Corte Costituzionale, evidenziando che l’Amministrazione avrebbe dovuto effettuare una verifica sulla sua pericolosità sociale, concreta ed attuale, nonché valutare la natura e l’effettività dei vincoli familiari, la durata del suo soggiorno in Italia (25 anni) e l’inserimento sociale e lavorativo”.
L’impugnazione veniva, però, respinta dai giudici amministrativi.
Pertanto, con l’appello in esame, l’interessato chiedeva che, in riforma della sentenza impugnata, “il ricorso di primo grado sia accolto, deducendo l’erroneità della sentenza, poiché il TAR non avrebbe considerato il lungo tempo trascorso in Italia e il suo radicamento nel territorio dello Stato, dimostrato dall’aver acquistato un immobile, nel quale vive con la famiglia”.
I giudici di Palazzo Spada hanno, però, rigettato l’appello, ritenendo ragionevole e motivata la decisione del Tar sia con riferimento al bilanciato tra l’interesse del ricorrente a restare in Italia con la propria famiglia e quello pubblico a negargli il rinnovo del permesso di soggiorno sia con riferimento al giudizio di prevalenza del primo sul secondo.
Ed infatti nel caso di specie occorre considerare che: l’appellante aveva subito una condanna a due anni e otto mesi di reclusione e ad € 14.000 di multa per il reato di detenzione illecita ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti; inoltre – come pure sottolineato dal Questore nel motivare il diniego de quo – l’esigenza di salvaguardare l’unità familiare, invocata dal ricorrente, “non ha agito da deterrente per impedire la commissione del reato” né il periodo di permanenza sul territorio dello stato dell’appellante soddisfa la condizione di c.d. lungo soggiornante, avendo regolarizzato la sua posizione in Italia solo nel 2011.
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