Diffamazione, non c'è reato se offese funzionali a diritto di difesa
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 38235 depositata in data 14 settembre 2016, ha ribadito il principio di diritto secondo il quale: “l’esimente di cui all’art. 598 c.p. costituisce applicazione estensiva del più generale principio posto dall’art. 51 c.p. ed è applicabile sempre che le offese riguardino l’oggetto della causa in modo diretto ed immediato. Deve essere esclusa, al contrario, la necessità che le offese abbiano anche un contenuto minimo di verità, o che la stessa sia in qualche modo deducibile dal contesto, in quanto l’interesse tutelato è la libertà di difesa nella sua correlazione logica con la causa a prescindere dalla fondatezza dell’argomentazione”.
Il caso di specie riguarda un procedimento relativo ad un soggetto imputato del reato di diffamazione ai sensi dell’art. 595 c.p., in quanto, nella predisposizione di un atto di comparsa di costituzione e risposta concernente un ricorso ad un procedimento di sfratto, avrebbe “offeso la reputazione del diffamato con una serie di dichiarazioni offensive avulse dai fatti oggetto della causa”.
In sostanza il ricorrente, con l’atto di cui sopra, eccepiva il proprio adempimento del contratto stipulato con il querelante, adducendo, oltre al pagamento dei canoni di locazione derivanti dall’obbligazione contratta, di essere stato oggetto di comportamenti vessatori a scopo estorsivo.
Per tal motivo, l’imputato adiva la Suprema Corte dolendosi dell’indeterminatezza del capo d’imputazione di cui era stato destinatario, chiedendone dunque la nullità, e della mancata applicazione dell’esimente di cui all’art. 598 c.p.
La Corte respingeva il primo motivo di gravame in pieno rispetto di un principio ormai consolidato in giurisprudenza secondo il quale: “non sussiste alcuna incertezza sull’imputazione, quando il fatto sia contestato nei suoi elementi strutturali e sostanziali in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa; la contestazione, inoltre, non va riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l’imputato in condizione di conoscere in modo ampio l’addebito (Cass. Pen. II sez. sent. n. 36438 del 21/07/2015)”.
In ordine al secondo motivo di gravame, la Suprema Corte riteneva di pregio la tesi formulata dal ricorrente secondo la quale le deduzioni riportate all’interno dell’atto di comparsa di costituzione e di risposta, giudicate lesive del decoro del querelante, fossero in realtà pertinenti in quanto assolutamente afferenti ai fatti di causa.
Di guisa, il Giudice di legittimità accoglieva il ricorso dell’imputato e annullava senza rinvio la sentenza impugnata poiché il fatto non è punibile per l’applicazione al caso di specie, dell’esimente di cui all’art. 598 c.p.
Dott. Marco Conti
Diffamazione, non c'è reato se offese funzionali a diritto di difesa
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 38235 depositata in data 14 settembre 2016, ha ribadito il principio di diritto secondo il quale: “l’esimente di cui all’art. 598 c.p. costituisce applicazione estensiva del più generale principio posto dall’art. 51 c.p. ed è applicabile sempre che le offese riguardino l’oggetto della causa in modo diretto ed immediato. Deve essere esclusa, al contrario, la necessità che le offese abbiano anche un contenuto minimo di verità, o che la stessa sia in qualche modo deducibile dal contesto, in quanto l’interesse tutelato è la libertà di difesa nella sua correlazione logica con la causa a prescindere dalla fondatezza dell’argomentazione”.
Il caso di specie riguarda un procedimento relativo ad un soggetto imputato del reato di diffamazione ai sensi dell’art. 595 c.p., in quanto, nella predisposizione di un atto di comparsa di costituzione e risposta concernente un ricorso ad un procedimento di sfratto, avrebbe “offeso la reputazione del diffamato con una serie di dichiarazioni offensive avulse dai fatti oggetto della causa”.
In sostanza il ricorrente, con l’atto di cui sopra, eccepiva il proprio adempimento del contratto stipulato con il querelante, adducendo, oltre al pagamento dei canoni di locazione derivanti dall’obbligazione contratta, di essere stato oggetto di comportamenti vessatori a scopo estorsivo.
Per tal motivo, l’imputato adiva la Suprema Corte dolendosi dell’indeterminatezza del capo d’imputazione di cui era stato destinatario, chiedendone dunque la nullità, e della mancata applicazione dell’esimente di cui all’art. 598 c.p.
La Corte respingeva il primo motivo di gravame in pieno rispetto di un principio ormai consolidato in giurisprudenza secondo il quale: “non sussiste alcuna incertezza sull’imputazione, quando il fatto sia contestato nei suoi elementi strutturali e sostanziali in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa; la contestazione, inoltre, non va riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l’imputato in condizione di conoscere in modo ampio l’addebito (Cass. Pen. II sez. sent. n. 36438 del 21/07/2015)”.
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