
Permesso di soggiorno scaduto: rinnovo oltre il termine non comporta espulsione automatica
Con ordinanza n. 12713/2016, la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in materia di immigrazione.
Nel caso di specie, un cittadino nigeriano, detenuto in custodia cautelare prima di essere assolto con formula piena dal reato ascrittogli, si recava presso la Questura per chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno già scaduto.
Il Prefetto emetteva un decreto di espulsione, poi confermato dal Giudice di Pace, in quanto la domanda non era stata presentata nei sessanta giorni consecutivi alla scarcerazione.
La Sez. VI della Corte di Cassazione ha ritenuto fondato l’unico motivo di ricorso presentato e, cioè, che: “premesso il carattere non perentorio del termine di sessanta giorni, stabilito dall’art. 13, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 286 del 1998 per la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, (…) il Giudice di Pace non abbia tenuto conto che il ricorrente era stato espulso proprio allorché si era recato in questura per presentare appunto la domanda di rinnovo del permesso”.
La Suprema Corte ha, infatti, rilevato che: “Di tale fatto decisivo (la spontanea presentazione in questura per chiedere il rinnovo del permesso), dedotto dal ricorrente, il Giudice di pace non si è dato alcun carico, omettendo qualsiasi accertamento al riguardo, ed è incorso pertanto anche nel vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.”.
Inoltre, la Corte ha, altresì, rilevato che: “il rifiuto, esplicito o per facta concludentia, di ricevere l’istanza di rinnovo, ancorché tardivamente proposta, del permesso di soggiorno scaduto, può integrare una situazione di addebitabilità all’Amministrazione della permanenza illegale ed essere idonea ad inibire l’esercizio del potere espulsivo fino alla definizione della richiesta, purché di tale comportamento dilatorio od ostruzionistico sia fornita la prova (Cass. 1907/2010, 18735/2010)”.
Per questi motivi, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e cassato il provvedimento impugnato.
Dott. Alessandro Rucci

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Il Prefetto emetteva un decreto di espulsione, poi confermato dal Giudice di Pace, in quanto la domanda non era stata presentata nei sessanta giorni consecutivi alla scarcerazione.
La Sez. VI della Corte di Cassazione ha ritenuto fondato l’unico motivo di ricorso presentato e, cioè, che: “premesso il carattere non perentorio del termine di sessanta giorni, stabilito dall’art. 13, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 286 del 1998 per la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, (…) il Giudice di Pace non abbia tenuto conto che il ricorrente era stato espulso proprio allorché si era recato in questura per presentare appunto la domanda di rinnovo del permesso”.
La Suprema Corte ha, infatti, rilevato che: “Di tale fatto decisivo (la spontanea presentazione in questura per chiedere il rinnovo del permesso), dedotto dal ricorrente, il Giudice di pace non si è dato alcun carico, omettendo qualsiasi accertamento al riguardo, ed è incorso pertanto anche nel vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.”.
Inoltre, la Corte ha, altresì, rilevato che: “il rifiuto, esplicito o per facta concludentia, di ricevere l’istanza di rinnovo, ancorché tardivamente proposta, del permesso di soggiorno scaduto, può integrare una situazione di addebitabilità all’Amministrazione della permanenza illegale ed essere idonea ad inibire l’esercizio del potere espulsivo fino alla definizione della richiesta, purché di tale comportamento dilatorio od ostruzionistico sia fornita la prova (Cass. 1907/2010, 18735/2010)”.
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