"Ottobre Fallimentare": nuovi requisiti e incompatibilità per il curatore fallimentare
Il Decreto Legge n. 83 del 27 giugno 2015 recante “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”, convertito in legge con modifiche con la legge 6 agosto 2015, n. 132, modifica e, nello stesso tempo, inserisce nuove norme nell’art. 28 della Legge Fallimentare, riguardante i requisiti per la nomina a curatore fallimentare.
In modo particolare l’art. 5 del D.L. di riforma interviene sull’art. 28 L.F. nel modo seguente:
a) modifica il terzo comma dell’articolo anzidetto prevedendo l’incompatibilità rispetto alla nomina a curatore fallimentare per coloro che hanno concorso al dissesto dell’impresa durante i cinque anni – e non più due anni come previsto dal testo precedente della norma – anteriori alla dichiarazione di fallimento ed integrando lo stesso terzo comma dell’art. 28 con la previsione di nuovi casi d’incompatibilità rispetto alla nomina a curatore: il caso di colui che abbia svolto funzioni di commissario giudiziale del concordato riguardante lo stesso debitore poi fallito ed il caso che sia stato unito da un rapporto di associazione professionale con chi abbia svolto la suddetta funzione;
b) aggiunge al citato art. 28 della Legge Fallimentare altri tre commi sempre in materia di nomina del curatore fallimentare e delle condizioni necessarie per tale nomina.
I commi integrativi prevedono in particolare: 1) che il curatore deve essere in possesso di una struttura organizzativa e di risorse adeguate a garantire il rispetto dei limiti temporali previsti per gli adempimenti demandati al curatore dall’art. 104 ter, come modificato dallo stesso D.L. qui in esame (termine massimo di centoottanta giorni dalla sentenza di fallimento per la predisposizione del programma di liquidazione ed il termine massimo di due anni dal deposito della sentenza di fallimento per il completamento della liquidazione dell’attivo); 2) che la sentenza dichiarativa del fallimento deve contenere una specifica motivazione in ordine all’esistenza, in capo al soggetto nominato curatore, dei suddetti requisiti e deve inoltre tenere conto, nella scelta del professionista a cui affidare la curatela fallimentare, delle eventuali indicazioni espresse al riguardo dai creditori nel corso del procedimento diretto alla dichiarazione di fallimento;
c) aggiunge al testo dell’art. 28 della Legge Fallimentare un ulteriore ed ultimo comma con il quale si prevede l’istituzione, presso il Ministero della Giustizia, di un registro nazionale in cui devono essere annotati i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali, nonché i provvedimenti di chiusura dei fallimenti e di omologazione dei concordati nonché, infine, l’entità dell’attivo e del passivo delle procedure chiuse.
Orbene, alla luce del chiaro tenore e della chiara interpretazione delle summenzionate modifiche ed integrazioni normative contenute nel D.L. di riforma in esame (art. 5), occorre ora individuare le finalità che il legislatore ha inteso con esse conseguire.
Non vi è dubbio, in primo luogo, che con le modifiche di cui alla precedente lettera a) il legislatore ha inteso rendere più rigorosi i criteri per la scelta, da parte del Tribunale, del soggetto da investire della delicata funzione di curatore fallimentare, organo di primaria importanza della procedura.
Tali criteri più rigorosi, ed anche i nuovi casi d’incompatibilità rispetto alla nomina a curatore fallimentare, hanno la finalità di garantire da parte del nominato la massima obiettività e terzietà nell’esercizio delle sue delicate funzioni.
Parimenti, con il prevedere che il curatore deve munirsi di adeguate risorse e di un’adeguata struttura organizzativa, si è inteso assicurare una maggiore efficienza nell’esercizio delle funzioni in parola ed una maggiore rapidità nell’iter della procedura, a fronte dell’eccessiva lungaggine dei tempi procedurali verificatasi nella prassi.
Il perseguimento degli obiettivi di cui sopra è stato ispirato anche dalla considerazione dei limiti temporali massimi imposti allo stesso curatore per la predisposizione del programma di liquidazione e per il completamento delle operazioni relative.
Unica nota critica che può essere fondamentalmente mossa alle riforme sopra esaminate riguarda la previsione dell’incompatibilità, rispetto alla nomina a curatore fallimentare, a carico di colui che ha svolto funzioni di commissario giudiziale del concordato preventivo dell’impresa poi dichiarata fallita.
Infatti tale prevista esclusione priva la procedura fallimentare della possibilità di avvalersi dell’esperienza e delle conoscenze acquisite, da parte di chi è stato commissario giudiziale, circa le condizioni economiche e finanziarie dell’impresa poi fallita e delle problematiche riguardanti la crisi dell’impresa medesima e le relative cause.
Pertanto, specie nei casi più complessi di crisi dell’impresa, tale limitazione può rappresentare un elemento negativo.
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In modo particolare l’art. 5 del D.L. di riforma interviene sull’art. 28 L.F. nel modo seguente:
a) modifica il terzo comma dell’articolo anzidetto prevedendo l’incompatibilità rispetto alla nomina a curatore fallimentare per coloro che hanno concorso al dissesto dell’impresa durante i cinque anni – e non più due anni come previsto dal testo precedente della norma – anteriori alla dichiarazione di fallimento ed integrando lo stesso terzo comma dell’art. 28 con la previsione di nuovi casi d’incompatibilità rispetto alla nomina a curatore: il caso di colui che abbia svolto funzioni di commissario giudiziale del concordato riguardante lo stesso debitore poi fallito ed il caso che sia stato unito da un rapporto di associazione professionale con chi abbia svolto la suddetta funzione;
b) aggiunge al citato art. 28 della Legge Fallimentare altri tre commi sempre in materia di nomina del curatore fallimentare e delle condizioni necessarie per tale nomina.
I commi integrativi prevedono in particolare: 1) che il curatore deve essere in possesso di una struttura organizzativa e di risorse adeguate a garantire il rispetto dei limiti temporali previsti per gli adempimenti demandati al curatore dall’art. 104 ter, come modificato dallo stesso D.L. qui in esame (termine massimo di centoottanta giorni dalla sentenza di fallimento per la predisposizione del programma di liquidazione ed il termine massimo di due anni dal deposito della sentenza di fallimento per il completamento della liquidazione dell’attivo); 2) che la sentenza dichiarativa del fallimento deve contenere una specifica motivazione in ordine all’esistenza, in capo al soggetto nominato curatore, dei suddetti requisiti e deve inoltre tenere conto, nella scelta del professionista a cui affidare la curatela fallimentare, delle eventuali indicazioni espresse al riguardo dai creditori nel corso del procedimento diretto alla dichiarazione di fallimento;
c) aggiunge al testo dell’art. 28 della Legge Fallimentare un ulteriore ed ultimo comma con il quale si prevede l’istituzione, presso il Ministero della Giustizia, di un registro nazionale in cui devono essere annotati i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali, nonché i provvedimenti di chiusura dei fallimenti e di omologazione dei concordati nonché, infine, l’entità dell’attivo e del passivo delle procedure chiuse.
Orbene, alla luce del chiaro tenore e della chiara interpretazione delle summenzionate modifiche ed integrazioni normative contenute nel D.L. di riforma in esame (art. 5), occorre ora individuare le finalità che il legislatore ha inteso con esse conseguire.
Non vi è dubbio, in primo luogo, che con le modifiche di cui alla precedente lettera a) il legislatore ha inteso rendere più rigorosi i criteri per la scelta, da parte del Tribunale, del soggetto da investire della delicata funzione di curatore fallimentare, organo di primaria importanza della procedura.
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