Accertamento paternità, rifiuto di sottoporsi al test prova solo fondatezza domanda?
Ai fini della libera valutazione del giudice, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche ha un valore indiziario tale da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda di accertamento della paternità? La Corte di Cassazione con sentenza n. 6025/2015 ha dichiarato inammissibile un ricorso valutando principalmente il comportamento processuale tenuto dalle parti.
La vicenda trae origine dalla proposizione della domanda di accertamento di paternità da parte di un soggetto nei confronti degli eredi legittimi del presunto padre, ormai deceduto.
Il Giudice di primo grado con sentenza respingeva la domanda. Il provvedimento veniva quindi impugnato dalla parte soccombente e seguito dall’accoglimento del gravame dalla Corte di appello di Salerno con sentenza n. 77872012.
Veniva dunque proposto ricorso, avverso il quale l’altra parte si difendeva con controricorso eccependo l’inammissibilità dello stesso in quanto infondato.
Secondo la Suprema Corte per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, la prova della fondatezza della domanda può trarsi anche unicamente dal comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente con tutti gli altri elementi probatori e/o indiziari del giudizio.
La ricorrente contestava, inoltre, la rilevanza della deposizione della madre della controparte, sebbene ai sensi dell’art. 269 c.c., la prova della paternità può essere data con ogni mezzo e le dichiarazioni della madre assumono un rilievo probatorio integrativo ai fini della decisione, soprattutto se messo in relazione con la circostanza del suo matrimonio con il defunto, contemporaneo alla nascita della figlia.
Ad ogni modo, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116 c.p.c., comma 2, di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda di accertamento della paternità.
Se per un verso, ex art. 269 cod. civ., infatti, non deriva una restrizione della libertà personale, avendo il soggetto piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, dall’altro il trarre argomenti di prova dai comportamenti della parte costituisce applicazione del principio della libera valutazione della prova da parte del giudice, senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa.
Il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2, anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra la madre e la persona di cui si assume la paternità.
Con tali argomentazione la Suprema Corte dichiarava il ricorso inammissibile.
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Ad ogni modo, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116 c.p.c., comma 2, di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda di accertamento della paternità.
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