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Condominio: la Cassazione sulla legittimazione passiva dell'amministratore
Dai giudici della Suprema Corte viene affrontata la questione dell’estensione della legittimazione processuale dell’amministratore di Condominio, proprio in base al contenuto sostanziale del diritto oggetto del contendere con la sentenza n. 4871/2014, depositata il 28/02/2014.
Nello specifico, era stata proposta un’azione di mero accertamento (negatoria servitutis) di abusivo esercizio di una servitù da parte di una società immobiliare, senza ulteriori richieste in ordine alla rimozione o alla esecuzione di opere e tali fatti venivano posti in essere da un gruppo di condomini, pertanto il Condominio non avrebbe dovuto avere legittimazione a stare in giudizio per fatti e diritti che riguardano singoli condomini, e non le parti comuni.
Ma la Corte ha obiettato, proprio in base al disposto del secondo comma dell’art. 1131 cod. civ., il quale prevedere la legittimazione passiva dell’amministratore in ordine ad ogni lite avente ad oggetto interessi comuni dei condomini (senza distinguere tra azione di accertamento ed azioni costitutive o di condanna), e richiamando il principio dettato con sent. n. 6396 del 1984, che “in tema di azioni negatorie e confessorie Dunque, la Suprema Corte, ponderando i vari interessi in gioco in merito alla legittimazione passiva dell’amministratore, che sono da un lato l’esigenza di agevolare i terzi e dall’altro la necessità di tempestiva difesa (onde evitare decadenze e preclusioni) dei diritti inerenti le parti comuni, ha ribadito che l’amministratore convenuto può anche autonomamente costituirsi in giudizio ovvero impugnare la sentenza sfavorevole in caso di azioni negatorie e confessorie della servitù esercitata dai singoli condomini, ma è necessario, poi, che l’assemblea ratifichi il suo operato.
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