Canone legale incostituzionale, Tribunale di Roma: "Si torna a canone contrattuale con effetto retroattivo"
Con sentenza n. 50/2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale) per contrasto con l’art. 76 della Costituzione, ossia per violazione della legge delega, in quanto “il tema della lotta all’evasione fiscale, che costituisce un chiaro obiettivo dell’intervento normativo, non può essere configurato anche come criterio per l’esercizio della delega. Oltretutto veniva prescritto al Governo di procedere all’esercizio della delega nel «rispetto dei principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212», che invece risulta violato all’art. 10, comma 3, ultimo periodo, laddove prescrive che «Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto»: con l’ovvia conseguenza che, tanto più, la mera inosservanza del termine per la registrazione di un contratto di locazione non può legittimare addirittura una novazione – per factum principis – quanto a canone e a durata”. A questo punto sorgono molteplici dubbi su quali siano gli effetti giuridici e sociali di tale decisione.
Il Tribunale di Roma, affrontando tale fattispecie, ha già optato per la disapplicazione totale della normativa con riferimento ai rapporti pendenti in forza di una interpretazione letterale dell’art. 136 Cost., in base al quale “la norma cessa di avere efficacia del giorno successivo alla pubblicazione della decisione”, e dell’art. 30, terzo comma, l. 11.3.1953 n. 87, per il quale “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione” e dell’art. 1 l. cost. 9.2.1948, n. 1, in base al quale la Corte costituzionale è investita della questione dal giudice, indirettamente, nel corso di un giudizio. Infatti la perdita di efficacia delle legge va intesa nel senso che dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza la legge non può più trovare applicazione.
Da ciò scaturisce, nella fattispecie, come primo effetto, il pieno ripristino del cd. canone “contrattuale” ossia di quello pattuito dalle parti e, come ulteriore conseguenza, l’obbligo del conduttore di versare tale importo fin dall’inizio del rapporto locatizio (effetto retroattivo). Pertanto a tutt’oggi i conduttori che hanno versato il canone cd. legale ossia quello sostituito e pari al triplo della rendita catastale ai sensi del già citato art. 3 comma 8 D.Lgs. 23/2011 sono a tutt’oggi morosi rispetto al canone “contrattuale” di cui ne è stata ristabilita la vigenza proprio in forza della succitata sentenza delle Corte Costituzionale.
Tale circostanza, se confermata nei numerosi procedimenti pendenti dinanzi gli uffici giudiziari capitolini, determinerebbe un evidente aumento del contenzioso giacché i locatori sarebbero legittimati a richiedere la differenza del canone nonché un allarmante disagio sociale/abitativo visto il rischio di sfratti. A parere dello scrivente, la soluzione migliore è quella di un intervento immediato del Governo per regolamentare la vicenda in esame e ristabilire un giusto equilibrio tra esigenze di certezza del diritto e di “pacificazione” sociale.
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