
Cane morde passante: c'è responsabilità penale del proprietario?
La Suprema Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata, con la Sentenza n. 2880 del 22.01.2014, riguardo un avvenimento che vedeva coinvolta la padrona di un cane che aveva morso un passante. La signora, proprietaria dell’animale, si era vista condannare dal Giudice di Pace di Avellino per il reato di lesioni personali colpose, disciplinate dall’art 590 del codice penale, per le conseguenza cagionate dal morso del suo cane.
Tale articolo disciplina che: “Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309”. Alla donna si contestava di non aver rispettato gli obblighi di vigilanza e di custodia del cane, per averlo lasciato libero nel proprio giardino.
Il ricorso della signora alla Suprema Corte era volto a contestare l’erronea applicazione dell’art 590 del codice penale e a dimostrare che non solo il giardino era adeguatamente recintato, ma che si trattasse anche di un giardino di proprietà privata. Insisteva nel sostenere che avesse adottato tutte le precauzioni necessarie affinché non vi fosse pericolo per i passanti.
Nel caso concreto il cane aveva infilato la testa tra le sbarre di un’alta recinzione, su cui era segnalata con un cartello la presenza di cani. Per mordere il passante, alla luce di ciò, la proprietaria avrebbe dovuto risponderne esclusivamente civilmente e non anche in ambito penale.
Si osservava. infine, che avendo la proprietaria adottato tutte le precauzioni necessarie, nel custodire il suo cane ed avendo inoltre segnalato la presenza di cani all’interno di un giardino privato, rientrava nel buon senso del passante adottare l’accortezza richiesta nel sostare dinanzi ad un cancello dove vi era ampiamente e chiaramente segnalata la presenza dei suddetti.
La Suprema Corte nel caso di specie non ha ritenuto responsabile la signora ai sensi dell’art 590 del codice penale, poiché la stessa non aveva violato i suoi obblighi di vigilanza e custodia.

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Il ricorso della signora alla Suprema Corte era volto a contestare l’erronea applicazione dell’art 590 del codice penale e a dimostrare che non solo il giardino era adeguatamente recintato, ma che si trattasse anche di un giardino di proprietà privata. Insisteva nel sostenere che avesse adottato tutte le precauzioni necessarie affinché non vi fosse pericolo per i passanti.
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