Limitazione dell'interruzione ed estinzione del giudizio: i chiarimenti della Cassazione
A norma dell’art. 300 del codice di procedura civile nel caso in cui il difensore di una delle parti costituite dichiari in udienza l’avvenuto decesso del proprio assistito (sia esso attore e convenuto) – oppure comunichi mediante notifica tale evento alle altre parti – si verifica una causa di interruzione del giudizio.
Il successivo articolo 305 del medesimo codice dispone che – in caso di mancata riassunzione, entro il termine di tre mesi, del processo interrotto per avvenuto decesso di una delle parti – il giudizio si estingue. Pertanto, se da un lato l’avvenuto decesso di una delle parti determina l’interruzione del giudizio, dall’altro la mancata riassunzione del giudizio interrotto nel predetto termine trimestrale determina l’estinzione dello stesso.
Le norme di cui sopra, tuttavia, nella loro applicazione pratica hanno da sempre suscitato notevoli perplessità in ordine all’esatta portata del provvedimento dichiarativo dell’interruzione del giudizio, all’esatta individuazione della parte processuale effettivamente gravata dell’onere di riassumere tempestivamente il giudizio interrotto e in merito all’estensione degli effetti della mancata riassunzione del giudizio del termine di legge.
Il problema si poneva nei giudizi con una pluralità di parti costituite e con riferimento all’ipotesi in cui l’evento interruttivo – ad esempio il decesso – non avesse riguardato l’attore o il convenuto principale, bensì un terzo chiamato in causa dal convenuto e regolarmente costituitosi in giudizio (ad esempio, il terzo nei cui confronti il convenuto aveva spigato domanda di manleva).
In siffatta ipotesi, nel silenzio della legge, veniva sovente dichiarata l’interruzione dell’intero giudizio, senza alcuna limitazione della stessa alla sola parte relativa alla domanda scindibile proposta nei confronti del terzo chiamato in causa e, quindi, con evidente pregiudizio della posizione giuridica dell’attore principale, il quale non aveva in alcun modo evocato in giudizio il terzo chiamato in causa rispetto al quale si era verificato l’evento interruttivo.
In siffatta ipotesi, inoltre, se per un verso appariva iniquo porre l’onere della riassunzione a carico dell’attore principale – che non aveva svolto alcuna domanda nei confronti del terzo chiamato in causa – per altro verso gravare di tale onere il convenuto autorizzato alla chiamata in causa significava rimettere a quest’ultimo la scelta se assicurare con la tempestiva riassunzione la prosecuzione del giudizio o determinarne, invece, l’integrale estinzione per mancata riassunzione nei termini di legge.
Nel silenzio della norma, entrambe le soluzioni apparivano ingiustamente pregiudizievoli riguardo agli interessi dell’attore principale.
La Corte di Cassazione, conseguentemente, è stata spesso chiamata a pronunziarsi sul punto e con la recente sentenza a S.U. n. 9686 del 22 aprile 2013, ha ribadito l’importante principio già in precedenza affermato e secondo cui “Nel processo con pluralità di parti cui da luogo la chiamata in causa dell’assicuratore prevista dall’art. 1917 comma 4 c.c., l’evento interruttivo che in primo grado colpisca l’assicuratore determina la sola interruzione del giudizio relativo alla domanda di indennità, ancorché il processo debba essere mantenuto in stato di rinvio sino alla scadenza del termine per la prosecuzione da parte dei successori del chiamato o della riassunzione da parte del chiamante; conseguentemente, l’onere della riassunzione grava sul convenuto che ha eseguito la chiamata in causa e, mancata ad opera di alcuna delle parti attività processuale utile alla prosecuzione del relativo giudizio, il processo si estingue solo per la parte che riguarda la domanda proposta con la chiamata in causa”.
Pertanto – alla stregua e in applicazione del principio di cui sopra – qualora l’evento interruttivo riguardi il terzo chiamato in causa, il Giudice Istruttore deve dichiarare l’interruzione del giudizio limitatamente alle sole domande proposte dal convenuto nei confronti del terzo chiamato in causa, assicurando per il resto la prosecuzione del giudizio, che deve essere rinviato a data successiva alla scadenza del termine di legge per la riassunzione.
Inoltre, sempre in applicazione del suddetto principio, l’onere della riassunzione viene a gravare definitivamente sul convenuto autorizzato alla chiamata di terzo in causa e solamente tale convenuto subisce gli effetti pregiudizievoli della mancata tempestiva riassunzione, posto che l’estinzione del giudizio deve essere dichiarata con riferimento alla sola domanda proposta dal convenuto nei confronti del terzo chiamato in causa, dovendo invece il giudizio proseguire regolarmente per l’esame e la decisione di tutte le altre domande.
Limitazione dell'interruzione ed estinzione del giudizio: i chiarimenti della Cassazione
A norma dell’art. 300 del codice di procedura civile nel caso in cui il difensore di una delle parti costituite dichiari in udienza l’avvenuto decesso del proprio assistito (sia esso attore e convenuto) – oppure comunichi mediante notifica tale evento alle altre parti – si verifica una causa di interruzione del giudizio.
Il successivo articolo 305 del medesimo codice dispone che – in caso di mancata riassunzione, entro il termine di tre mesi, del processo interrotto per avvenuto decesso di una delle parti – il giudizio si estingue. Pertanto, se da un lato l’avvenuto decesso di una delle parti determina l’interruzione del giudizio, dall’altro la mancata riassunzione del giudizio interrotto nel predetto termine trimestrale determina l’estinzione dello stesso.
Le norme di cui sopra, tuttavia, nella loro applicazione pratica hanno da sempre suscitato notevoli perplessità in ordine all’esatta portata del provvedimento dichiarativo dell’interruzione del giudizio, all’esatta individuazione della parte processuale effettivamente gravata dell’onere di riassumere tempestivamente il giudizio interrotto e in merito all’estensione degli effetti della mancata riassunzione del giudizio del termine di legge.
Il problema si poneva nei giudizi con una pluralità di parti costituite e con riferimento all’ipotesi in cui l’evento interruttivo – ad esempio il decesso – non avesse riguardato l’attore o il convenuto principale, bensì un terzo chiamato in causa dal convenuto e regolarmente costituitosi in giudizio (ad esempio, il terzo nei cui confronti il convenuto aveva spigato domanda di manleva).
In siffatta ipotesi, nel silenzio della legge, veniva sovente dichiarata l’interruzione dell’intero giudizio, senza alcuna limitazione della stessa alla sola parte relativa alla domanda scindibile proposta nei confronti del terzo chiamato in causa e, quindi, con evidente pregiudizio della posizione giuridica dell’attore principale, il quale non aveva in alcun modo evocato in giudizio il terzo chiamato in causa rispetto al quale si era verificato l’evento interruttivo.
In siffatta ipotesi, inoltre, se per un verso appariva iniquo porre l’onere della riassunzione a carico dell’attore principale – che non aveva svolto alcuna domanda nei confronti del terzo chiamato in causa – per altro verso gravare di tale onere il convenuto autorizzato alla chiamata in causa significava rimettere a quest’ultimo la scelta se assicurare con la tempestiva riassunzione la prosecuzione del giudizio o determinarne, invece, l’integrale estinzione per mancata riassunzione nei termini di legge.
Nel silenzio della norma, entrambe le soluzioni apparivano ingiustamente pregiudizievoli riguardo agli interessi dell’attore principale.
La Corte di Cassazione, conseguentemente, è stata spesso chiamata a pronunziarsi sul punto e con la recente sentenza a S.U. n. 9686 del 22 aprile 2013, ha ribadito l’importante principio già in precedenza affermato e secondo cui “Nel processo con pluralità di parti cui da luogo la chiamata in causa dell’assicuratore prevista dall’art. 1917 comma 4 c.c., l’evento interruttivo che in primo grado colpisca l’assicuratore determina la sola interruzione del giudizio relativo alla domanda di indennità, ancorché il processo debba essere mantenuto in stato di rinvio sino alla scadenza del termine per la prosecuzione da parte dei successori del chiamato o della riassunzione da parte del chiamante; conseguentemente, l’onere della riassunzione grava sul convenuto che ha eseguito la chiamata in causa e, mancata ad opera di alcuna delle parti attività processuale utile alla prosecuzione del relativo giudizio, il processo si estingue solo per la parte che riguarda la domanda proposta con la chiamata in causa”.
Pertanto – alla stregua e in applicazione del principio di cui sopra – qualora l’evento interruttivo riguardi il terzo chiamato in causa, il Giudice Istruttore deve dichiarare l’interruzione del giudizio limitatamente alle sole domande proposte dal convenuto nei confronti del terzo chiamato in causa, assicurando per il resto la prosecuzione del giudizio, che deve essere rinviato a data successiva alla scadenza del termine di legge per la riassunzione.
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