Fallimento e Liquidazione Giudiziale. Requisiti oggettivi e soggettivi a confronto.
Con Decreto Legislativo dell’11 gennaio 2019 il Governo ha finalmente approvato lo schema del Decreto Legislativo contenente il “CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL’INSOLVENZA” destinato, per la maggior parte dei suoi articoli, ad entrare in vigore una volta decorsi diciotto mesi dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale salvo alcune norme specifiche che, invece, entreranno in vigore con il decorso di trenta giorni dalla predetta pubblicazione.
Occorre premettere che il nuovo Codice introduce un modello procedimentale unico – che si svolgerà secondo le forme del procedimento prefallimentare di cui all’art. 15 della legge fallimentare – per l’accertamento dello stato di crisi e dell’insolvenza e che ad un tale procedimento saranno soggette tutte le tipologie di debitori, con l’unica eccezione per gli enti pubblici.
A seconda della natura del debitore, e del rilevato stato di “crisi” o addirittura di “insolvenza”, l’esito di tale procedimento sarà conseguentemente diverso da caso a caso e potrà consistere nell’avvio di procedure di regolazione concordata della crisi d’impresa o nell’apertura di quella procedura di Liquidazione Giudiziale che, secondo l’intento del legislatore, dovrebbe sostituire il procedimento fallimentare.
Pertanto spetterà al Tribunale definire se si tratta di un semplice stato di crisi o addirittura di uno stato di insolvenza ed assumere le relative determinazioni circa la procedura di regolazione concordata o coattiva della crisi d’impresa.
Relativamente all’ipotesi in cui sia disposta l’apertura della procedura di Liquidazione Giudiziale mette conto rilevare che l’art. 49 del codice (“Dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale”) dispone che “Il tribunale, definite le domande di accesso ad una procedura di regolazione concordata della crisi o dell’insolvenza eventualmente proposte, su ricorso di uno dei soggetti legittimati e accertati i presupposti dell’articolo 121, dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale”.
Tanto premesso si impone un doveroso esame di quali siano i presupposti per l’apertura della procedura di “Liquidazione Giudiziale” introdotta dal nuovo codice e, soprattutto, una valutazione di eventuali differenze rispetto ai presupposti oggettivi e soggettivi oggi richiesti per la dichiarazione di fallimento.
Orbene proprio l’esito di un tale esame e di una tale valutazione induce all’innegabile conclusione che, in relazione al confronto tra Fallimento e procedura di “Liquidazione Giudiziale”, non vi sia alcuna differenza nei presupposti oggettivi e soggettivi per l’apertura dell’una o dell’altra procedura.
In sostanza, benchè la procedura di “Liquidazione Giudiziale” contemplata dal nuovo codice sia destinata a sostituire la procedura fallimentare sino ad oggi conosciuta, i presupposti oggettivi e soggettivi richiesti per l’apertura della procedura concorsuale in discorso rimarranno invariati rispetto ai presupposti richiesti dall’art. 1 della Legge Fallimentare per l’apertura del fallimento.
Come innanzi precisato l’art. 49 del nuovo codice, ai fini dell’individuazione dei requisiti per l’avvio della procedura di Liquidazione Giudiziale, rimanda a quanto previsto dall’art. 121 del codice stesso.
Tale ultimo articolo, intitolato “Presupposti della liquidazione giudiziale”, dispone che “1. Le disposizioni sulla liquidazione giudiziale si applicano agli imprenditori commerciali che non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d), e che siano in stato di insolvenza”.
Pertanto per l’apertura della procedura di Liquidazione Giudiziale è richiesto, come sino ad oggi avvenuto per la dichiarazione di fallimento, che il debitore versi in uno stato di insolvenza, che sia un imprenditore commerciale e che non possa essere definito come “impresa minore”, avendo superato almeno uno dei requisiti dimensionali previsti dall’art. 2, comma 1, lettera d) del codice.
L’art. 2, comma 1, lettera d) definisce ““impresa minore”: l’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti: 1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila; i predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia adottato a norma dell’articolo 348”.
Quindi le “imprese minori” non saranno soggette alla procedura di Liquidazione Giudiziale (art. 49 del nuovo codice) e se l’imprenditore commerciale dimostrerà di non superare nessuno dei suddetti limiti dimensionali previsti dall’art. 2 del codice, dimostrerà il possesso congiunto dei requisiti per essere qualificato come “impresa minore” e, quindi, esente dalla procedura Liquidazione Giudiziale.
E’ di tutta evidenza l’assonanza del combinato disposto degli artt. 49 e 2, comma 1, lettera d) del nuovo CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL’INSOLVENZA con le disposizioni dell’art. 1 della Legge Fallimentare del 1942.
Infatti le soglie previste dall’art. 2, lettera d) del nuovo codice ed il cui superamento, anche solo di una di esse, rende l’impresa soggetta alla procedura di Liquidazione Giudiziale sono le stesse soglie contemplare oggi dall’art. 1 della Legge Fallimentare.
Inoltre occorre sempre la sussistenza dello stato di insolvenza.
In ultimo si evidenzia che l’art. 49 del nuovo CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL’INSOLVENZA dispone al n. 5 che” Non si fa luogo all’apertura della liquidazione giudiziale se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria è complessivamente inferiore a euro trentamila. Tale importo è periodicamente aggiornato con le modalità di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d)”, proprio come l’art. 15 della Legge Fallimentare dispone oggi, al n. 9, che “Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a € 30.000,00. Tale importo è periodicamente aggiornato con le modalità di cui al terzo comma dell’art. dell’articolo 1”.
Anche relativamente a tale ulteriore requisito attinente all’ammontare dei debiti effettivamente scaduti e risultanti dall’istruttoria, appare di tutta evidenza il senso di continuità con le disposizioni previste dalla Legge Fallimentare.
In definitiva appare di tutta evidenza che, benché la procedura fallimentare sia destinata ad essere sostituita dalla procedura della Liquidazione Giudiziale disciplinata dal nuovo CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL’INSOLVENZA, il legislatore ha inteso mantenere inalterati i presupposti e i requisiti oggettivi e soggettivi richiesti per l’accesso alla procedura concorsuale.
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Occorre premettere che il nuovo Codice introduce un modello procedimentale unico – che si svolgerà secondo le forme del procedimento prefallimentare di cui all’art. 15 della legge fallimentare – per l’accertamento dello stato di crisi e dell’insolvenza e che ad un tale procedimento saranno soggette tutte le tipologie di debitori, con l’unica eccezione per gli enti pubblici.
A seconda della natura del debitore, e del rilevato stato di “crisi” o addirittura di “insolvenza”, l’esito di tale procedimento sarà conseguentemente diverso da caso a caso e potrà consistere nell’avvio di procedure di regolazione concordata della crisi d’impresa o nell’apertura di quella procedura di Liquidazione Giudiziale che, secondo l’intento del legislatore, dovrebbe sostituire il procedimento fallimentare.
Pertanto spetterà al Tribunale definire se si tratta di un semplice stato di crisi o addirittura di uno stato di insolvenza ed assumere le relative determinazioni circa la procedura di regolazione concordata o coattiva della crisi d’impresa.
Relativamente all’ipotesi in cui sia disposta l’apertura della procedura di Liquidazione Giudiziale mette conto rilevare che l’art. 49 del codice (“Dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale”) dispone che “Il tribunale, definite le domande di accesso ad una procedura di regolazione concordata della crisi o dell’insolvenza eventualmente proposte, su ricorso di uno dei soggetti legittimati e accertati i presupposti dell’articolo 121, dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale”.
Tanto premesso si impone un doveroso esame di quali siano i presupposti per l’apertura della procedura di “Liquidazione Giudiziale” introdotta dal nuovo codice e, soprattutto, una valutazione di eventuali differenze rispetto ai presupposti oggettivi e soggettivi oggi richiesti per la dichiarazione di fallimento.
Orbene proprio l’esito di un tale esame e di una tale valutazione induce all’innegabile conclusione che, in relazione al confronto tra Fallimento e procedura di “Liquidazione Giudiziale”, non vi sia alcuna differenza nei presupposti oggettivi e soggettivi per l’apertura dell’una o dell’altra procedura.
In sostanza, benchè la procedura di “Liquidazione Giudiziale” contemplata dal nuovo codice sia destinata a sostituire la procedura fallimentare sino ad oggi conosciuta, i presupposti oggettivi e soggettivi richiesti per l’apertura della procedura concorsuale in discorso rimarranno invariati rispetto ai presupposti richiesti dall’art. 1 della Legge Fallimentare per l’apertura del fallimento.
Come innanzi precisato l’art. 49 del nuovo codice, ai fini dell’individuazione dei requisiti per l’avvio della procedura di Liquidazione Giudiziale, rimanda a quanto previsto dall’art. 121 del codice stesso.
Tale ultimo articolo, intitolato “Presupposti della liquidazione giudiziale”, dispone che “1. Le disposizioni sulla liquidazione giudiziale si applicano agli imprenditori commerciali che non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d), e che siano in stato di insolvenza”.
Pertanto per l’apertura della procedura di Liquidazione Giudiziale è richiesto, come sino ad oggi avvenuto per la dichiarazione di fallimento, che il debitore versi in uno stato di insolvenza, che sia un imprenditore commerciale e che non possa essere definito come “impresa minore”, avendo superato almeno uno dei requisiti dimensionali previsti dall’art. 2, comma 1, lettera d) del codice.
L’art. 2, comma 1, lettera d) definisce ““impresa minore”: l’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti: 1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila; i predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia adottato a norma dell’articolo 348”.
Quindi le “imprese minori” non saranno soggette alla procedura di Liquidazione Giudiziale (art. 49 del nuovo codice) e se l’imprenditore commerciale dimostrerà di non superare nessuno dei suddetti limiti dimensionali previsti dall’art. 2 del codice, dimostrerà il possesso congiunto dei requisiti per essere qualificato come “impresa minore” e, quindi, esente dalla procedura Liquidazione Giudiziale.
E’ di tutta evidenza l’assonanza del combinato disposto degli artt. 49 e 2, comma 1, lettera d) del nuovo CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL’INSOLVENZA con le disposizioni dell’art. 1 della Legge Fallimentare del 1942.
Infatti le soglie previste dall’art. 2, lettera d) del nuovo codice ed il cui superamento, anche solo di una di esse, rende l’impresa soggetta alla procedura di Liquidazione Giudiziale sono le stesse soglie contemplare oggi dall’art. 1 della Legge Fallimentare.
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In ultimo si evidenzia che l’art. 49 del nuovo CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL’INSOLVENZA dispone al n. 5 che” Non si fa luogo all’apertura della liquidazione giudiziale se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria è complessivamente inferiore a euro trentamila. Tale importo è periodicamente aggiornato con le modalità di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d)”, proprio come l’art. 15 della Legge Fallimentare dispone oggi, al n. 9, che “Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a € 30.000,00. Tale importo è periodicamente aggiornato con le modalità di cui al terzo comma dell’art. dell’articolo 1”.
Anche relativamente a tale ulteriore requisito attinente all’ammontare dei debiti effettivamente scaduti e risultanti dall’istruttoria, appare di tutta evidenza il senso di continuità con le disposizioni previste dalla Legge Fallimentare.
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